Un documento eccezionale per scelta tematica, forza espressiva e impatto visivo. Prodotto dalla cinematografia palestinese. La pellicola narra la vicenda di due aspiranti kamikaze che si misurano con se stessi e si confrontano tra di loro poche ore prima dell'attentato con cui dovrebbero porre fine alla loro esistenza e a quella di civili israeliani.
Dal cinema palestinese, arriva un documento eccezionale per scelta tematica, forza espressiva e impatto visivo. Paradise now è il viaggio dentro la vicenda di Said e Khaled, due amici residenti in un campo profughi nei dintorni di Nabuz. Offerta la propria disponibilità per azioni di guerriglia, i due vengono invece prescelti per un’azione kamikaze da compiere a Tel Aviv. Il regista Hany Abu-Assad opta per uno sguardo ravvicinato e partecipe che consente allo spettatore di seguire da vicino i rituali della preparazione: il testamento spirituale, che è anche dichiarazione di appartenenza e saluto videoregistrato per i familiari; le operazioni preliminari (purificazione, vestizione, preghiera, travestimento), il viaggio verso la città. Infine tutto è pronto. Eppure qualcosa non funziona, e con lo stallo si incrina la convinzione prima di un ragazzo e poi dell’altro. Ma la motivazione di uno di essi (che ritiene di dover riscattare il tradimento paterno) ha la meglio sulle paure e sui tentativi della ragione, incarnata dalla figlia di un eroe della resistenza palestinese, secondo la quale una causa non si sostiene con il terrorismo.
Partecipazione si diceva, non adesione, da parte del regista, che manifesta simpatia umana per i suoi personaggi, non giustificazione delle loro azioni negative. Così, in un continuo e riuscito gioco tra particolare e universale, si dispiega l’insensatezza di un conflitto che costringe i suoi protagonisti «all’impossibilità di essere normali» e lascia noi, colpiti allo stomaco, inquieti, attoniti ma pure illuminati da un raggio di speranza.