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La religione bahai fa discutere l’Egitto

17/05/2006  |  Il Cairo
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Una coppia di fede bahai ottiene dal tribunale di Alessandria di poter indicare la propria professione religiosa sulla carta d'identità. La sentenza riconosce legittimità ai bahaiti, ma apre un aspro dibattito in Parlamento e tra i giureconsulti islamici. Questi ultimi, in particolare, sbarrano la strada a ogni apertura nei confronti di un movimento ritenuto come apostata rispetto all'islam e quindi incostituzionale.


Nelle settimane scorse in Egitto taluni giudici e influenti deputati hanno riconosciuto il diritto dei cittadini a professare il bahaismo, religione praticata inorno al bacino del Nilo da almeno cinquemila fedeli (oltre cinque milioni nel mondo).

Non si è ancora alla legittimazione ufficiale di una confessione di fatto bandita dal 1960 per evidente contrasto con i precetti fondanti dell’islam. Tuttavia singoli parlamentari di diverse formazioni politiche mostrano da tempo significative aperture verso questa fede. Importanti politici e rappresentanti della società civile hanno accolto con favore il provvedimento preso lo scorso 4 aprile dal tribunale amministrativo di Alessandria, che ha autorizzato una coppia di giovani bahaiti a specificare la loro appartenenza religiosa sulla carta d’identità (in Egitto è obbligatorio precisare sui documenti la propria confessione).

La religione bahaita è nata in Iran attorno al 1860 per iniziativa del nobile persiano Al Mirza Hussein aly al-Nurry (1817-1892), inizialmente aderente all’islam sciita e, dopo la fondazione del nuovo movimento religioso, soprannominato Bahaullah («gloria di Dio»). Fin da subito la neonata religione ha cercato di fondere istanze di tutti e tre i monoteismi, sostituendo il pellegrinaggio alla Mecca con uno ad Haifa (Israele) – dov’è la tomba del fondatore – e riducendo i riti di abluzione prima della preghiera.

In Egitto il principale luogo di culto si trova nel moderno quartiere cairota dell’Abbasseyya: inizialmente demolito nel 1960 per decreto del presidente Gamal Abd el-Nasser, il centro bahaita è stato poi riattivato e frequentato in semiclandestinità, sotto lo sguardo tollerante ma vigile del governo egiziano. Due le accuse principali mossa ai bahaiti: proselitismo e collaborazionismo con ambienti ebraici in Israele.

La progressiva ufficializzazione di una religione a lungo osteggiata cozza contro la rigida posizione dei giuristi dell’Università islamica di al-Azhar, che hanno più volte sostenuto l’incostituzionalità del bahaismo e l’apostasia dei suoi adepti (l’articolo 2 della Costituzione egiziana prevede la sharia quale principale fonte legislativa).

La recente sentenza di Alessandria ha creato un acceso dibattito parlamentare, a cui ha fatto fronte il ministro degli affari religiosi, Mahmud Hamdi Zaqzuq: numerosi deputati conservatori, per lo più appartenenti ai Fratelli musulmani, hanno rilevato come, per la prima volta in Egitto, una condanna inappellabile da parte dei giuristi di al-Azhar sia rimasta inascoltata. «Un simile riconoscimento, che sdogana degli apostati, rischia di anticipare delle tendenze pericolose: si arriverà presto ad accettare e a dare ordinamento giuridico a correnti deviate dell’islam, come gli sciiti, o a quei gruppi, che in nome del Corano adorano Satana. Ci sarà un livellamento delle religioni, tutte con uguali diritti, che è il primo passo verso un’inaccettabile laicizzazione dello stato», s’indigna Akram al-Shaer, un islamista conservatore.

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