La questione della libertà di coscienza è rimbalzata con forza nelle ultime settimane sulle sponde del Mediterraneo, e non solo per «l’asilo religioso» offerto dall’Italia al convertito afghano Abdul Rahman. In Algeria è stata approvata il 20 marzo scorso la «legge sull’esercizio dei riti religiosi non i slamici» che, secondo il ministro della Giustizia Tayeb Belaiz, rappresenta «un quadro giuridico che garantisce il consolidamento del principio della libertà di culto previsto dalla Costituzione e dai patti internazionali». Anche la stampa locale fa l’elogio di un testo che «intende consacrare la tolleranza, la convivenza interreligiosa e la protezione statale del culto non islamico nel quadro del rispetto dei diritti e libertà altrui». Un «quadro», tuttavia, che la legge si applica scrupolosamente a limitare per «impedire le campagne di evangelizzazione clandestine», come ha ammesso un responsabile del ministero degli Affari religiosi. Composta di 17 articoli, la nuova legge vieta infatti l’esercizio del culto non islamico al di fuori degli edifici adibiti all’uopo e subordina questi edifici all’ottenimento di una previa autorizzazione. Un articolo prevede soprattutto una multa da 500 mila a un milione di dinari (da 5 a 10 mila euro) e una pena carceraria da due a cinque anni contro «chiunque cambi la funzione originaria dei luoghi di culto» oppure «inciti o costringa o usi mezzi persuasivi per costringere un musulmano ad abbracciare un’altra religione». Stesse pene contro chi «produce o immagazzina o distribuisce pubblicazioni o cassette audio e video o altri mezzi volti a minare la fede nell’islam». Negli ultimi mesi la stampa algerina ha insistito molto sulle presunte attività missionarie nella Cabilia, abitata prevalentemente dai berberi, avanzando il numero di 10-15 mila convertiti al cristianesimo. «Ai tempi del colonialismo – ha commentato il presidente dell’Associazione degli ulema algerini, lo sceicco Abdul-Rahman Shiban – l’Algeria ha subito una vera e propria crociata, con i francesi che cercavano di estirpare l’identità musulmana del Paese. Oggi constatiamo che in molte località algerine nuovi crociati cercano di cristianizzare i cittadini. La moschea, la scuola, i mass media e lo Stato devono opporvisi».
Di fronte a questo passo indietro dell’Algeria alcuni segnali provenienti dall’Egitto lasciavano presagire qualche apertura. Ai primi di aprile era circolata la voce di un accordo tra la prestigiosa università islamica di al-Azhar e la Chiesa copta per consentire la libertà di conversione al cristianesimo, tanto da provocare la dura reazione dei deputati dei Fratelli musulmani che hanno chiesto chiarimenti al premier Ahmed Nadif. «L’evangelizzazione non è accettabile, se fosse vero che è stata autorizzata questo atto aprirà le porte a una sedizione religiosa tra musulmani e cristiani», ha tuonato Mohammed Said al-Katatini, capogruppo dei Fratelli musulmani in Parlamento. Dal canto suo, il presidente della Commissione per il dialogo tra le religioni, lo sceicco al-Zafzaf, aveva precisato che «non c’è nulla in contraddizione con l’islam. Ogni fedele ha diritto di esporre la propria convinzione religiosa agli altri, se lo fa in pace e senza costrizioni» aggiungendo che «l’islam ammette il diritto di tutti di abbracciare la fede che desiderano».
I fatti di Alessandria d’Egitto, con l’assalto a tre chiese copte, hanno dimostrato che tra il dire e il fare ce ne corre. E che per molti musulmani estremisti la prospettiva di una lecita conversione al cristianesimo è da avversare con ogni mezzo. Anche con quelli del disordine sociale, della violenza e dello scontro interreligioso.