L’Egitto è salito di recente alla ribalta delle cronache per alcuni gravi episodi che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica internazionale. Venerdì 14 aprile alcuni uomini armati di coltelli (subito indicati come squilibrati mentali) hanno assalito i fedeli nei pressi di tre chiese copte di Alessandria d’Egitto, causando un morto e una quindicina di feriti. Il clima si è fatto teso e le violenze tra musulmani e copti si sono ripetute nei giorni successivi, con un altro morto, parecchi feriti, vetrine spaccate, auto incendiate e sassaiole.
Pochi giorni dopo, il 25 aprile, a Dahab sul Mar Rosso, tre attentati suicidi provocavano la morte di 23 persone, per la gran parte turisti, e il ferimento di altre 62 (tra cui tre italiani). La pista indicata dagli inquirenti è quella del terrorismo islamico legato ad Al Qaida e a Bin Laden.
Non ci sono evidentemente legami diretti tra i due episodi, ma entrambi si inquadrano nel clima di instabilità e di crisi che tocca oggi il Medio Oriente e il mondo arabo musulmano. Un contesto nel quale il fondamentalismo i slamico (sia orientato allo scontro interreligioso che al terrorismo) trova terreno fertile.
L’Egitto di oggi – nonostante tutto – continua ad essere un Paese al quale vale la pena guardare con grande attenzione. E con il quale, da cristiani, dobbiamo avvertire un profondo legame. Per questa ragione abbiamo voluto dedicare il dossier di questo numero della rivista al monachesimo egiziano, e al suo straordinario bagaglio di storia e spiritualità. Nei commenti della stampa egiziana ai fatti di Alessandria si è insistito sulla necessità di recuperare l’identità nazionale. Una identità che si deve costruire anche attraverso il riconoscimento di questo patrimonio comune di fede ancora oggi vivo e capace di offrire al Paese una più precisa coscienza di sé.