«Non dobbiamo lasciarci spaventare. Abbiamo il dovere della fermezza ma anche della comprensione. Sono convinto che la stragrande maggioranza del mondo musulmano sia lontana dalle strumentalizzazioni a cui abbiamo assistito in queste settimane. E dalla follia di chi crede di poter usare la religione per fini politici».
Non è facile di questi tempi affrontare il tema del rapporto tra Occidente e mondo musulmano, tra cristianesimo e islam. È ancora più difficile quando le strade di Roma sono tappezzate dei manifesti affissi per ringraziare e salutare don Andrea Santoro, morto ammazzato il 5 febbraio a Trabzon (Trebisonda), Turchia, da un ragazzo che dicono squilibrato. E quando in tutto il Medio ed Estremo Oriente (e ora anche nell’Africa nera) si accendono le piazze per le vignette satiriche su Maometto. E ancora le folle, a Bengasi come a Beirut, assaltano ambasciate e bruciano bandiere.
Padre Justo Lacunza Balda, dei Missionari d’Africa (Padri bianchi), rettore del Pontificio istituto di studi arabi e islamistica (Pisai), guarda dalla finestra del suo studio che dà su viale Trastevere, mentre la luce calda del tramonto filtra tra i platani. E non può trattenersi da un filo di emozione. «L’esempio di don Santoro deve illuminarci nel nostro cammino. Ha vissuto come il lievito nella pasta, immergendosi totalmente nel mondo musulmano, offrendo una testimonianza di vita che non tarderà a dare frutto. Era di casa, qui da noi. Ricordo il suo amore per i musulmani, la sua passione nel gettare ponti, nell’esplorare strade nuove».
La vicenda di don Santoro ha scioccato l’opinione pubblica occidentale. Solo un incidente o un campanello d’allarme?
Non penso che l’assassino abbia agito in maniera isolata, senza una regia. Per arrivare a colpire un simbolo, un sacerdote della Chiesa cattolica, che in Turchia è un piccola minoranza ma della quale tutti sanno l’importanza, questo ragazzo deve avere avuto indicazioni. Don Santoro era un personaggio scomodo, perché non rinunciava all’idea di propagare il buon senso della Parola, il messaggio del cristianesimo, attraverso le opere di bene. Guidava i pellegrini alla scoperta delle bellezze e delle ricchezze della Turchia, che chiamava Terra Santa.
La Turchia, come altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo – penso all’Egitto, all’Algeria e perfino, per alcuni, alla Libia di Gheddafi – è considerata un Paese laico e moderato.
Cosa intendiamo per laicità? Se essere laici significa essere liberi di consumare alcol, ospitare milioni di turisti, avere uno stile di vita occidentale, non mi interessa. La moderazione di un Paese si misura sulla laicità dello Stato, che ha il dovere di garantire a tutte le religioni uguale trattamento. Un musulmano turco che arriva in Italia, in Francia o in Spagna può esprimere liberamente la sua fede. Non si deve scusare, non deve andare di nascosto in moschea. Perché non in Turchia? Occorre che Ankara riconosca alle persone la dignità che loro compete, indipendentemente che siano ebrei, musulmani o cristiani. Questo scenario non si costruisce solo attraverso i binari economici, ma individuando spazi sui quali discutere. E questi spazi sono le libertà fondamentali della persona.
Le reazioni alla pubblicazione delle vignette satiriche ha alzato il livello dello scontro tra mondo musulmano e Occidente, non trova?
Nessuno dubita del fatto che sono state urtate le sensibilità non dell’islam, ma dei musulmani. Ma è lecito incolpare tutti i cristiani del fatto che un piccolo giornale di provincia abbia pubblicato qualche vignetta? Per quanto deprecabile, la pubblicazione delle vignette è un frutto della libertà di stampa e di opinione. Chi è libero può anche usare male della libertà e compiere abusi. Non mi risulta però che nei Paesi a maggioranza musulmana i giornalisti godano di grande libertà… Mi sembra che molti siano anche in carcere.
Folle inferocite che bruciano bandiere e assaltano ambasciate. È questa l’immagine che oggi si ha in Occidente dell’islam…
Bruciare una bandiera è un fatto gravissimo. E non riesco a capire perché la condanna dell’Europa sia stata tanto morbida. Chi ha bruciato la bandiera della Danimarca si è forse dimenticato che con quel gesto ha offeso anche centinaia di migliaia di immigrati musulmani in quel Paese, che si sentono ugualmente rappresentati dalla bandiera danese? Oppure questi alfieri del fondamentalismo islamico credono ancora che l’Europa sia abitata esclusivamente da cristiani? Credo che i musulmani d’Europa dovrebbero finalmente far sentire la loro voce.
Uno dei temi spinosi che questa vicenda porta ancora alla ribalta è la possibilità o meno dei Paesi a maggioranza musulmana di evolversi in senso democratico.
L’islam politico ha portato la religione in piazza e ha posto a tema la legge islamica anche negli spazi civili. L’islam è uscito dalle moschee. È un fatto molto importante che non possiamo affatto trascurare. Sono però convinto che la maggior parte dei musulmani voglia fortemente la democrazia. Chi ha in mano il potere in questi Paesi sa benissimo che con la democrazia si conterrebbero o finirebbero i clientelismi e la corruzione. L’unico cambio di potere possibile è attraverso la rivoluzione, che sostituisce un’oligarchia con un’altra mantenendo intatto il sistema di potere. Basta guardare all’Iran di Khomeini. Prima della rivoluzione la gente era tagliata fuori dal godimento delle ricchezze, ma la nuova classe dirigente ha creato anch’essa clientelismo. La situazione dei Paesi a maggioranza musulmana è ancora bloccata. La democrazia necessita di una maturazione della società civile che non è stata ancora possibile.
Mi sembra di cogliere una vena di moderato pessimismo…
Realismo, piuttosto. Sta nascendo una domanda in molti Paesi a maggioranza musulmana. E forse anche le diverse condizioni di vita e la maggior libertà degli immigrati in Occidente potranno contribuire a sbloccare la situazione. Ho sentito molte volte, con le mie orecchie, questa riflessione: ma cosa ci fanno i nostri governi con tutti i soldi del petrolio, delle altre risorse naturali o degli aiuti? La situazione sociale è drammatica in molti Paesi. E in questo contesto di povertà estrema e di disperazione, se a una persona offrono dei soldi per compiere gesti di violenza, c’è anche il rischio che accetti. Se la gente di molti Paesi del Medio Oriente e del Maghreb è disposta a pagare qualsiasi prezzo per fuggire in Europa, qualche ragione ci deve pur essere. Lo sviluppo e i diritti della persona sono i veri antidoti al fondamentalismo.
La povertà e la mancanza di prospettiva sono due costanti anche in Palestina. Hamas è stata la risposta.
I palestinesi hanno visto che al-Fatah attraverso corruzione, nepotismo, clientelismo e monopoli ha dissipato miliardi di miliardi di contribuiti e di aiuti internazionali. Chi ha votato Hamas non credo che abbia voluto il partito islamico, quanto piuttosto un cambio nella dirigenza del Paese. Dopo di che esiste il problema della natura e della matrice ideologica di Hamas, che nasce come un movimento di resistenza islamica contro il potere centrale rappresentato da al-Fatah. Non contro Israele o l’Occidente, ma contro quella parte dell’Autorità palestinese che non è ritenuta secondo il dettame dell’islam. Alla stregua di quanto i Fratelli musulmani fanno in Egitto per scalfire il potere di Mubarak. È questa la dinamica. Sfruttare l’islam per arrivare al potere politico.
Hamas nei suoi proclami prometteva anche l’instaurazione della legge islamica. Ora qualche leader ha fatto dichiarazioni distensive…
Non posso accettare che qualcun altro mi dia la libertà o mi conceda dei diritti. Se io sono un palestinese cristiano in uno Stato palestinese che ha scelto d’introdurre la legge islamica, è evidente che non ho gli stessi diritti degli altri palestinesi musulmani. Bisogna chiedere ai palestinesi cosa veramente desiderano: siamo sicuri che vogliano la legge islamica? Chiedano ai cristiani e ai musulmani cosa ne pensano. E perché non proviamo a rovesciare la domanda: come si sentirebbero i musulmani in uno Stato che avesse come carta fondamentale una legge cristiana? La domanda non è quindi sulla legge islamica buona o liberale, ma sul dovere dello Stato di tutelare i diritti delle minoranze religiose.
Sono state introdotte sanzioni da Stati Uniti e Israele ai danni dell’Autorità Nazionale Palestinese. E l’Europa ha chiesto il ripudio della lotta armata…
Lasciare la via della violenza per Hamas è la conditio sine qua non per poter impostare qualsiasi tipo di discorso. Sono poi convinto che sugli aiuti ci si debba porre una domanda seria, negli Usa come nell’Unione Europea. Con tutti i soldi stanziati per il Medio Oriente non siamo riusciti a raggiungere grandi risultati. In nome della democrazia credo che proprio ai cittadini europei bisognerebbe chiedere cosa ne pensano qualora i propri soldi dovessero finire a un movimento come Hamas che predica la violenza e il terrorismo. Un cittadino europeo potrebbe infatti domandare: ma come, non aiutiamo scuole, dispensari e ospedali per dare fondi ad un partito che predica l’islam fondamentalista? E che utilizzerà parte di questi fondi per armarsi o per perseguire azioni violente?
II 28 marzo si va alle urne in Israele. Cosa succederà?
Mettiamoci nei panni degli israeliani, sia di quelli di fede ebraica sia di tutti gli altri. La questione è semplice: nel Paese confinante c’è al governo un movimento che non riconosce l’esistenza dello Stato d’Israele. Quindi Israele è in pericolo. Se ho un vicino di casa che vuole la mia morte, logico che mi attrezzerò di conseguenza. Sarà normale che i voti si spostino sulle persone o sui partiti che garantiranno un maggior sforzo per la sicurezza. L’esito delle elezioni israeliane dipenderà molto da cosa nel frattempo sarà successo a Ramallah e nei Territori dell’Autonomia palestinese: se Hamas vorrà lo scontro, sarà scontro
In Medio Oriente e in Terra Santa in particolare hanno un ruolo insostituibile le Chiese e le comunità cristiane…
Le Chiese devono impegnarsi come hanno sempre fatto nel promuovere spazi di libertà, nel promuovere la dignità della persona. Devono liberarsi da paure e imbarazzi, alzando la voce quando serve e facendo vedere quanto fanno per quella terra – che è la loro terra – a livello di scuole, assistenza sociale e salvaguardia delle radici spirituali e culturali. Un altro compito che i cristiani e le Chiese hanno oggi in Terra Santa è questo: devono far conoscere cosa significa veramente il Medio Oriente, che non è soltanto fondamentalismo o guerra. I cristiani del Medio Oriente, e insieme a loro tutti i cristiani del mondo, devono aprirsi, riprendere a parlare degli aspetti positivi, dei semi di pace, delle speranze e dei sogni del Medio Oriente. Devono fare ombra alla violenza.
Se non permetteranno che il male diventi protagonista, esso perderà peso e valore. E si affermerà una nuova visione delle cose. Occorre che riscoprano, con il nostro aiuto, la necessità di parlare al mondo, di far entrare nella linfa dei popoli il messaggio di pace del Vangelo, per influire in maniera positiva sulle decisioni e sull’opinione pubblica mondiale. E per costruire insieme un mondo più unito.