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A proposito del Vangelo di Giuda

Giovanni Claudio Bottini
14 aprile 2006
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A Washington, il 7 aprile 2006, è stato presentato un antico manoscritto copto che conterrebbe l'unica copia esistente del Vangelo di Giuda. Ricostruito, autenticato e tradotto grazie a National Geographic, alla Maecenas Foundation for Ancient Art e al Waitt Institute for Historical Discovery. Possibili ripercussioni sulla storia delle origini del cristianesimo e sulla dottrina?


«Non si vede come questo manoscritto possa riaprire il dibattito e le ricerche sul cristianesimo delle origini. Semmai potrà contribuire a conoscere qualche dettaglio sullo sviluppo di gruppi gnostici». Con queste parole padre Claudio Bottini, decano della Facoltà di archeologia e scienze bibliche dello Studium Biblicum Franciscanum (Sbf), ha commentato la presentazione a Washington (avvenuta il 7 aprile), dell’antico manoscritto copto che conterrebbe l’unica copia esistente del Vangelo di Giuda. Ricostruito, autenticato e tradotto grazie a National Geographic, alla Maecenas Foundation for Ancient Art e al Waitt Institute for Historical Discovery, secondo quanto anticipato proprio dal National Geographic Channel, il manoscritto presenterebbe la figura di Giuda sotto una «nuova luce» con possibili ripercussioni sulla storia delle origini del cristianesimo e sulla dottrina.
«L’esistenza del Vangelo apocrifo è nota – prosegue padre Bottini – ed fu  proprio S. Ireneo il primo a parlarne riferendo che alcuni gnostici possedevano anche un Vangelo di Giuda, il traditore. Ripeto, si tratta di un testo interessante da un punto di vista storico, ma che non sposta nulla da un punto di vista della fede».

Ecco l’intervento di padre Bottini:

Il 7 aprile è stato presentato a Washington con grande apparato pubblicitario il manoscritto copto di cui si parlava non senza polemiche da qualche tempo. I visitatori del National Geographic Museum hanno potuto vedere sette pagine del codice. Le polemiche riguardavano le peripezie attraverso le quali il manoscritto è uscito dall’Egitto passando per diverse contrattazioni fino ad approdare in Svizzera e l’interpretazione del manoscritto stesso. Stando alle informazioni fin qui fornite si tratta di un codice di 66 pagine contenente: Prima Apocalisse di Giacomo; Lettera di Pietro a Filippo; frammento di testo chiamato provvisoriamente Libro di Allogenes, eresiarca del terzo sec. d. C.; Vangelo di Giuda.

Per ragioni facilmente intuibili attenzione e curiosità mediatiche sono puntate su quest’ultimo testo apocrifo, di cui il manoscritto costituisce la prima copia conosciuta in assoluto.

La polemica è tra lo studioso americano dei manoscritti di Nag Hammadi James M. Robinson e il gruppo che ha curato la pubblicazione del ms in due libri: Lost Gospel Revealed: The Quest for the Gospel of Judas (Vangelo perduto ritrovato: la ricerca del Vangelo di Giuda) e The Gospel of Judas (Il Vangelo di Giuda) .

Non disponendo ancora dei due libri e non conoscendo personalmente il testo del manoscritto da quanto è stato comunicato il testo contiene il libro apocrifo intitolato Vangelo di Giuda. L’esistenza di detto Vangelo apocrifo è nota. Per citare un solo esempio si veda la scheda di Mario Erbetta in Gli apocrifi del Nuovo Testastamento. Vangeli I/1, Marietti, Torino 1975, p. 291 o di altri autori in raccolte analoghe di libri apocrifi.

Ireneo di Lione, che è il primo a parlarne, riferisce che alcuni gnostici, oltre ad alcuni scritti di loro invenzione, possedevano anche un Vangelo di Giuda, il traditore (Euaggelion Iouda, Iudae evangelium; Adv. haer. I 31, 1). Le notizie di Ireneo si ritrovano in Epifanio di Salamina (Pan. XXXVIII 1, 5) e Teodoreto di Ciro (Haeret. fab. compendium I 15; PG 83, 368B).

Questi gnostici appartenevano alla setta dei «Cainiti» ed erano affini agli «gnostici» propriamente detti di Epifanio, nicolaiti, ofiti, sethiani e carpocraziani.

Circa il contenuto del cosiddetto Vangelo di Giuda finora gli studiosi cercavano di dedurlo, con molte riserve, dai lineamenti generali dalla dottrina dei Cainiti. Si riteneva possibile che esso contenesse un racconto della passione di Gesù, dove il tradimento di Giuda era descritto (e giustificato) come un mezzo per procurare la salvezza universale. In questo modo Giuda avrebbe impedito che la verità fosse rovinata (da Gesù Cristo) o che il disegno delle cattive potenze (gli arconti) andasse in porto. Gli arconti volevano impedire la crocifissione, per evitare che in questo modo gli uomini, sottratti allo loro potenza, raggiungessero la salvezza. Epifanio (Pan. XXXVIII 3, 3-5) e lo Pseudo-Tertulliano (Adv. omn. haer. 2) accennano a due gruppi di Cainiti, concordi nell’onorare Giuda ma divisi nella valutazione del significato della persona di Gesù, da alcuni svalutata.

Anche sulla dottrina del Vangelo di Giuda gli studiosi fin qui hanno avanzato solo qualche supposizione. È confermata l’opinione degli studiosi che l’apocrifo si presentava quale dottrina «segreta» esposta da Giuda come insegnamento ricevuto per rivelazione e gnosi superiore e perfetta. Doveva avere un carattere licenzioso sul piano morale e fortemente contrario alla Legge (se giungeva a giustificare il tradimento di Giuda e il fratricidio di Caino). La data di composizione dell’apocrifo, data la notizia di Ireneo, deve precedere il 180. Gli specialisti pensano al 150. Quanto al manoscritto che ora viene fatto conoscere, si dice che può risalire al terzo o quarto secolo e si tratterebbe di testo tradotto dal greco.

Non si vede come essa la pubblicazione di questo testo possa riaprire il dibattito e le ricerche sul cristianesimo delle origini. Semmai potrà contribuire a far conoscere qualche dettaglio sullo sviluppo di gruppi gnostici. Se, come è stato detto, nel manoscritto si leggono espressioni quali: «Allontanati dagli altri e ti dirò i misteri del regno… tu supererai gli altri, perché sacrificherai la parte umana di me», viene da esclamare: più gnostico di così! È noto infatti che un pilastro della gnosi era proprio il disprezzo della materia e la segretezza della dottrina ne costituiva un secondo.

Gli editori del manoscritto parlano di «nuova luce» sulla figura di Giuda. Se ci si riferisce al fatto che Giuda venga scagionato dalla responsabilità del tradimento, non si tratta di cosa nuova. Certamente la figura di Giuda e il suo il ruolo nella morte di Gesù costituivano un problema anche per la comunità apostolica. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù prega: «Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi. Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura» (Gv 17,12). Questo però non implica nessuna connotazione di fatalismo o predestinazionismo.

Giuda si è consegnato al maligno liberamente rimanendo responsabile del suo terribile atto di tradimento del Maestro, anche se la Chiesa non si è mai pronunciata sulla sua sorte finale. Riguardo alla morte di Gesù il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda la «complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti evangelici» e aggiunge che «quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), Dio solo [lo] conosce» (n. 597). Quanto poi alla dottrina apostolica della morte redentrice di Cristo nel disegno divino di salvezza precisa: «La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanze. essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste: “Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno «consegnato» Gesù (At 3,13) siano stati esecutori passivi di un vicenda scritta in precedenza da Dio» (CCC n. 599).

Lo stesso vale per «qualche eventuale riflesso sulla dottrina», sui quali gli editori finora non hanno detto nulla di preciso, stando ai dispacci di agenzie di stampa. Se il manoscritto risale ai Cainiti, è possibile che il testo contenga qualche informazione sul rito sessuale praticato dalla setta per raggiungere la gnosi perfetta. La formula che accompagnava tale rito è riportata da Ireneo il quale riferisce che questi eretici ritenevano che «in ciascuno dei peccati o delle turpi azioni è presente un angelo e mentre le compie osa attribuire a lui le azioni audaci e impure e ciò che è in quell’azione lo esprimono con il nome dell’angelo dicendo: “O angelo, io abuso dell’opera tua; o Potenza, io compio la tua operazione!” E la scienza perfetta consiste appunto nell’intraprendere senza timore azioni tali, che non è lecito neanche nominare» (Adv haer. I, 31, 2).

(L’autore è decano dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme)

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