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I sacrifici dell’Iran per aiutare Assad

Fulvio Scaglione
18 febbraio 2017
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Quanto costa all'Iran, in termini economici e di vite umane, il sostegno al presidente siriano Bashar al-Assad? Proviamo a fare qualche conto.


Ma perché l’Iran è così attaccato alla Siria, cioè alla Siria di Bashar al-Assad? Nei sei anni dell’allucinante guerra civile siriana il regime degli ayatollah non ha mai smesso di appoggiare Assad, rifiutando qualunque ipotesi prevedesse il suo allontanamento come pre-condizione per un accordo di pace. Una fedeltà che è costata e costa cara agli iraniani, sotto ogni punto di vista.

Sono state pubblicate diverse stime al riguardo. Le più affidabili sembrano essere quelle uscite dagli uffici di Staffan de Mistura, l’inviato speciale dell’Onu per la crisi siriana. Tali stime parlano di una spesa pari a 6 miliardi di dollari l’anno in aiuti alla Siria. Secondo altri calcoli, invece, si arriva a una spesa tra i 12 e i 15 miliardi di dollari, almeno per quanto riguarda gli anni 2013 e 2014.

Non meno importante è il costo in vite umane. Secondo la versione ufficiale di Teheran, in Siria ci sono solo “consiglieri militari” iraniani e non reparti di combattimento. Le notizie sui caduti però filtrano ugualmente  si parla ormai apertamente di oltre 700 soldati iraniani, sia dell’esercito regolare, sia dei corpi speciali come Al Quds e le Guardie della Rivoluzione, caduti combattendo in Siria. Si è inoltre saputo che oltre mille famiglie iraniane ricevono, a causa del conflitto siriano,  sussidi dalla Fondazione dei martiri, l’ente iraniano che si occupa dell’assistenza alle famiglie dei caduti in guerra. Numero più alto del precedente perché incorpora anche quello dei caduti afghani, arruolati nelle milizie sciite impegnate anche intorno ad Aleppo.

A queste cifre vanno aggiunte, volendo, anche quelle relative ai caduti di Hezbollah, la forza sciita libanese che è tra i principali alleati dell’Iran. Almeno altri mille uomini, anche se alcuni parlano di 2 mila caduti e 6 mila feriti.

Insomma, uno sforzo notevole per un Paese che ha sofferto per 25 anni di sanzioni economiche internazionali che solo in parte sono state eliminate con l’accordo sul nucleare siglato con Usa, Russia, Onu e Ue nel 2015.

Il tutto si spiega con il fatto che la resistenza della Siria di Assad è un elemento vitale per l’Iran come per tutto il mondo sciita del Medio Oriente. Il tracollo della Siria si spiega, anche, con il desiderio dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo Persico di affermare una volta per tutte la propria supremazia sulla regione, con il benevolo e interessato appoggio degli Usa e dell’Europa. Mentre l’Iran cercava di resistere alle sanzioni, i Paesi del Golfo arrivano a spendere 150 miliardi di dollari l’anno in armamenti, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti prima e terzi rispettivamente nella classifica mondiale dei Paesi che comprano più armi.

Da molti anni, ormai, i sauditi finanziano l’estremismo sunnita in ogni angolo del pianeta, in ossequio al loro progetto di conquistare una specie di monopolio sull’arcipelago islamico. L’Iran aveva già fallito la prova in Iraq: la caduta di Saddam Hussein aveva spalancato le porte all’influenza iraniana, così mal gestita da Teheran e dal suo uomo a Baghdad, Nuri al-Maliki, premier dal 2005 al 2014, da diventare una specie di spot pro-Isis nelle regioni sunnite. Non poteva permettersi, quindi, di veder cadere la Siria governata dalla minoranza sciita-alawita degli Assad e assistere alla nascita di uno Stato a guida sunnita o, peggio, di uno Staterello terroristico (ma sempre sunnita) come il Califfato. L’uno e l’altro dipendenti dal Golfo Persico e strategicamente piazzati per interrompere la catena sciita della Mezzaluna Fertile (Iran, Iraq, Siria e Libano).

Se questo fosse successo, l’Iran sarebbe rimasto in balia del primo aggressore che si fosse presentato alla porta. Come nel 1980, quando ad attaccare fu Saddam Hussein. Nei conti degli ayatollah, quindi, quelli compiuti in Siria non sono sacrifici ma passi inevitabili.

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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