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Una scuola di iconografia a Betlemme

Ilaria Sesana
4 gennaio 2017
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Una scuola di iconografia a Betlemme
Ian Knowles scrive un'icona sotto gli sguardi attenti di alcune allieve. (foto Bethlehem Icon School)

Nella città del Natale l'iconografo inglese Ian Knowles insegna l'antica arte dell'icona. Un impegno per tornare alle radici e rilanciare la qualità di un artigianato caro anche ai pellegrini di tutto il mondo.


«Amo disegnare fin da quando ero bambino. Quando ho saputo da un amico dell’esistenza di un corso di iconografia sono stato affascinato e nell’estate del 2014 ho iniziato a frequentarlo. Ho imparato velocemente e dopo un paio di mesi ho realizzato la mia prima icona». Saher Kawas, giornalista 26enne, ogni sabato affronta il complicato viaggio da Gerusalemme (città dove vive e lavora) per raggiungere Betlemme dove frequenta la Bethlehem Icon School, la scuola di icone fondata nel 2012 da Ian Knowles, 54enne inglese, iconografo e insegnante. Qui gli aspiranti “scrittori” (questo il termine tecnico corretto) di icone possono frequentare un corso intensivo di una settimana, oppure un corso triennale sull’iconografia cristiana.

La passione di Knowles per le icone era sbocciata durante un viaggio in Grecia, quando era solo un adolescente. Studia iconografia a Parigi e nel 2008 torna in Terra Santa, dove collabora al restauro di alcune icone in una chiesa nei pressi di Betlemme. Da questa esperienza – e dall’osservazione della realtà locale – nasce l’idea di aprire una scuola dedicata alla formazione degli aspiranti scrittori di icone.

«Gli scrittori di icone qualificati di origine araba erano quasi inesistenti – racconta Knowles in un’intervista al quotidiano francese La Croix -. La maggior parte sono amatori che non hanno una vera formazione alle spalle e vendono opere mediocri nelle loro botteghe». I pochi artisti capaci di realizzare vere icone sono religiosi e spesso di origine straniera.

Così, nel 2012, apre i battenti la Scuola di icone di Betlemme. Non ci sono tasse da pagare, ma gli studenti devono portarsi strumenti e materiali da casa. «Qui non imparo solo a disegnare icone. Approfondisco anche la mia conoscenza della Bibbia e della storia cristiana della Palestina», spiega Saher. Si lavora tutti insieme e ogni lezione inizia con una preghiera collettiva.

Per tre-quattro ore a settimana gli studenti (tutti cristiani palestinesi, una quindicina all’anno) imparano a realizzare tempere naturali a base d’uovo e vodka; a stendere le sottili foglie d’oro sui fondali; a scrivere un Mandylion, il volto di Cristo. Apprendono a replicare le figure e i volti di un’arte antica e spesso dimenticata. O ridotta a pura merce per turisti, sovente di scarsa qualità.

Malgrado le difficoltà degli ultimi anni, sono ancora tantissimi i pellegrini e i turisti che visitano Betlemme ogni anno. Le icone sono tra gli oggetti più apprezzati dai turisti, ma quelle che si trovano in vendita sulla maggior parte delle bancarelle o nei negozi di articoli religiosi spesso sono imitazioni a buon mercato, importate dalla Grecia o dalla Cina.

Con la sua scuola, Knowles vuole aiutare i palestinesi a fare qualcosa di diverso, realizzando prodotti artistici di qualità che vengano messi in vendita online o all’interno della scuola a un prezzo equo, che garantisca un giusto stipendio anche a chi ha realizzato l’icona.

«Gli artisti non possono nemmeno comprare da mangiare per i loro figli, ti sembra giusto – commenta Knowles -. Se ti pagano 50 dollari a settimana non hai nemmeno i soldi per pagarti dei buoni materiali. Mentre le persone che hanno talento non possono investire e formarsi. E così si finisce col realizzare roba mediocre che serve solo per fare un po’ di soldi».

Ma non è solo una questione artistica. Le icone, infatti, non sono semplici oggetti d’arte. Sono «porte aperte verso il cielo», oggetti che aiutano nella preghiera. La Terra Santa è la culla dove è nata nel VI secolo dopo Cristo quest’arte, e da qui deve ripartire questa antica tradizione anche con l’aiuto della Bethlehem Icon School. Knowles sogna che in un futuro non troppo lontano sarà proprio un giovane artista cristiano palestinese a prendere il suo posto.

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