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Urgono restauri alla Tomba di Cristo

fra Eugenio Alliata ofm
17 luglio 2015
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Non siamo in grado di prevedere per quanto tempo sarà ancora rimandato il restauro dell'edicola del Santo Sepolcro, necessario per la sicurezza dei pellegrini. Sarà anche occasione per verificare le nostre conoscenze del monumento.


Anche grazie al rinnovato interesse suscitato dalla recente esposizione della Santa Sindone nella città di Torino, si rinnovano da più parti gli appelli per il restauro dell’Edicola del Santo Sepolcro, cioè della cappella che racchiude i resti della Tomba di Cristo a Gerusalemme. Si notano infatti crepe nelle pareti esterne attraverso le quali passa comodamente una mano. Non siamo in grado di prevedere per quanto tempo sarà ancora rimandato questo intervento, necessario per la sicurezza dei pellegrini (a questo proposito pressioni sono state fatte anche da parte delle autorità israeliane – ndr) e che sarà anche occasione per verificare le nostre conoscenze del monumento originale e della sua storia.

La tomba di Cristo era costituita di una semplice camera come la maggior parte delle grotte funerarie del tempo? E di che tipo era? Ad arcosoli o a kokhim? Poteva avere un vestibolo, un portico, un atrio? Era isolata o parte di una necropoli?

Grazie agli scavi praticati in occasione dei restauri eseguiti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, risulta oggi più chiara la topografia del luogo. Siamo infatti in grado di situare il monumento nell’area terminale di una grande cava di pietra, sfruttata in diversi tempi e a diverse profondità, sia all’aperto che in galleria. La cava si estendeva per un buon tratto sul lato nord-est delle mura di Gerusalemme antica. Questo luogo ricco di asperità è quello che nel Vangelo viene chiamato il Golgota o Luogo del Cranio (Mt 27,33; Mc 15,22; Gv 19,17). La cava abbandonata, con i suoi anfratti parzialmente riempiti dagli stessi scarti di lavorazione della pietra e terre provenienti dal dilavamento della collina sovrastante, poteva ben essere adattata a giardino come si trova esplicitato in Gv 19,41. Si tratta naturalmente di un giardino «all’orientale», cioè arricchito non di fiori profumati ma piuttosto di una varietà di alberi fruttiferi del genere che può crescere tra le rocce: possiamo comprendere olivi, il fico, il mandorlo, il melograno e forse anche la vite.

Alle notizie contenute nei Vangeli si aggiunge la testimonianza di Eusebio di Cesarea (265-340 circa) che parla dell’insperato ritrovamento del «venerando e santissimo testimone della Resurrezione salvifica» (De Vita Constantini 3,28) nella rimozione, ordinata dall’imperatore Costantino, dei templi pagani precedentemente edificati: «Fu cosa meravigliosa vedere la roccia ergersi in uno spazio aperto, sola, dritta; unico era anche l’antro in essa contenuto» (Theophania 3,61). Sembra appunto sia stata la «singolarità» di quella tomba a guidare prevalentemente gli scopritori nella corretta identificazione del sepolcro.

Poche modifiche si richiesero per il suo adattamento a centro di devozione e oggetto di religiosa memoria. La tomba fu isolata dal banco di roccia circostante e privata anche di qualche parte accessoria nella parte anteriore (probabilmente di un rozzo portico o tettuccio roccioso che gli architetti di Costantino avrebbero deciso di sostituire con uno costruito, come appare nelle prime raffigurazioni).

Tale situazione rimase fino al 18 ottobre del 1009, quando i soldati del califfo al-sHakim causarono la pressoché totale distruzione del monumento e della basilica che lo racchiudeva. Successivi restauri ebbero l’effetto di procurare un occultamento sempre maggiore dei resti originali sotto diversi strati di murature più recenti.

Gli ultimi a vedere ancora qualcosa della situazione precedente furono i monaci greci ortodossi quando provvidero, nel 1809, alla ricostruzione dell’edicola attuale.

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