Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Ein Ghedi, sulle tracce di re Davide

Claire Burkel
20 settembre 2018
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Nella letteratura giudaica, le sue palme e i suoi vigneti sono sinonimo di bellezza. Una visita a Ein Ghedi permette di rileggere in situ le pagine bibliche sulla lotta tra Davide e Saul.


Il nome in ebraico significa «sorgente degli stambecchi» o «dei capretti». Oggi è un parco naturale dove effettivamente si possono ammirare in libertà numerosi stambecchi, sciacalli, iraci (un tipo di marmotta del tutto inoffensiva che vive in colonie, menzionata tre volte nell’Antico Testamento: Levitico 11,5; Proverbi 30,26; Salmi 104,18 «le rocce rifugio per gli iraci»), volpi e leopardi in cima ai dirupi.

Una bella oasi, nel deserto particolarmente secco e arido che è la riva occidentale del Mar Morto; e questo grazie a una sorgente, Nahal David, arricchita dalle acque di deflusso provenienti da Hebron, dove si colloca lo spartiacque.

Nel 625-582 è attestato un antico insediamento, con laboratori di essenze che sfruttavano i balsami ricavati da particolari piante, come ne esistono anche a Qumran, qualche chilometro più a nord. Lo storico Giuseppe Flavio ne citava le «palme bellissime» e i «cespugli di balsamo» (Antichità giudaiche 9,7) mentre più tardi Plinio il Vecchio (Naturalis historia V,73) descriveva la fertilità del suo palmeto.

Il luogo fu abbandonato per più di due secoli, fino al 332, poi rioccupato in epoca persiana fino al II secolo, quando Giovanni Ircano (sul trono dal 134 al 104 a.C.) vi costruì un forte, distrutto dai parti nel 40 a.C. Una guarnigione romana vi si acquartierò tra il 60 e il 68 d.C. all’epoca della guerra giudaica. A partire dal tardo III secolo vi sorse una città bizantina (Eusebio parla di un «grosso borgo»); la sinagoga del VI secolo ospita un pavimento musivo recante fagiani, grappoli d’uva e 18 righe in ebraico e aramaico (le pareti furono completamente distrutte da un incendio).

Ein Ghedi ricompare nella storia recente con la costruzione di un kibbutz (1953) dedito alla coltivazione di datteri e banane e che ospita oggi un ostello. Lo spettacolo offerto dalla natura si concilia con la ricchezza del testo biblico; i gruppi di pellegrini si fermano vicino a una cascata per leggere in tutta tranquillità gli eventi che qui hanno visto Davide protagonista. Iniziamo dal Primo libro di Samuele (24,1-23): il luogo è questo! Davide è costretto a scappare di fronte a Saul e a condurre una vita da fuggiasco nella regione; ed eccolo qui, nascosto con i suoi compari in una delle grotte nei pressi dell’oasi, quand’ecco passare l’esercito reale alla sua ricerca. Fedele alla scelta di Dio che ha unto il capo di Saul, non vuole alzare la spada contro di lui.

Fa un certo effetto meditare in situ questo episodio della lotta tra il giovane dal radioso futuro e il re in carica che combatte per il prestigio della sua famiglia. Ma da dove viene il risentimento di Saul? Leggiamo in 1Sam 18,12: «Saul cominciò a sentire timore di fronte a Davide, perché il Signore era con lui, mentre si era ritirato da Saul». La vox populi, che sembra ormai dalla parte del più giovane, rispecchia la scelta di Dio. Davide, infatti, prima del suo incontro con il re e della lotta contro Golia, è stato unto tra i suoi fratelli dal profeta Samuele (1Sam 16,1-13). Eppure Dio in precedenza aveva scelto il figlio della tribù di Beniamino. Ma Saul aveva commesso un grave errore. Per paura di perdere una battaglia, ciò che implica una mancanza di fiducia nella vittoria che Dio gli avrebbe accordato, ha usurpato la funzione sacerdotale, offrendo l’olocausto al posto di Samuele, senza attenderlo (1Sam 13,7-15): «Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore, tuo Dio, ti aveva dato (…). Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e gli comanderà di essere capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore». Così parlò Samuele, provocando grandi rimpianti e suppliche da parte di Saul.

La lezione è dura, ma la monarchia è davvero il cammino che Dio voleva per il suo popolo? 1Sam 8,1-22 ci rivela che è un cammino pieno di insidie, poiché allontana dal rapporto diretto con il Signore e genera più problemi che benefici.

Pochi gruppi compiono l’ascesa completa, oltre la piacevole sorgente che forma diverse vasche naturali in cui si immergono le famiglie ebree e musulmane della regione. Proseguendo, troverebbero le rovine di un tempio risalente al III millennio a.C. in cui le vittime sacrificali venivano cremate, come testimonia lo spessore della cenere contenente resti animali che vi è stata rinvenuta. Da questo pianoro si domina il sito che si trova più basso, costituito più da grotte che da vere e proprie abitazioni, e che gli archeologi hanno dimostrato essere abitato solo dal VII secolo. La presenza di Davide nella grotta ne risulta confortata.

Queste letture, che ci portano indietro nel tempo, a partire da un evento che ricordiamo in questo stesso luogo ci hanno condotto a una riflessione sulle nozioni di potere, di obbedienza a Dio e di rispetto per la parola data. Sarà dunque Davide a farsi carico della guida del suo popolo, dopo la morte di Saul e dei suoi figli. Sarà re, con la promessa che la sua discendenza sarà eterna (cfr 2Sam 7,1-17).

(traduzione dal francese di R. Orlandi)

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