Il governo turco allenta la pressione sui curdi iracheni – stretti nella morsa tra Iraq, Iran e Turchia – mentre calca la mano contro i curdi siriani nel cantone di Afrin.
Con una mossa tipica del movimentismo del presidente Recep Tayyip Erdoğan, il governo della Turchia ha cominciato a rimuovere tutte le misure prese nel settembre scorso per isolare, economicamente e non solo, il Kurdistan iracheno. L’embargo turco era stato attuato per “punire” i curdi dell’Iraq dopo il referendum convocato da Massoud Barzani per proclamare l’indipendenza del Kurdistan.
Per Barzani era stata una vittoria di Pirro. Il “sì” all’indipendenza aveva raccolto il 98 per cento dei consensi ma la reazione internazionale era stata durissima. L’Iraq aveva mosso l’esercito, cacciando i peshmerga dalla regione di Kirkuk che pure avevano contribuito a difendere dagli uomini dello Stato islamico. Gli Usa, da decenni sponsor della causa curda, avevano disconosciuto il referendum. E la Turchia, come detto, aveva isolato il Kurdistan tagliando ogni rapporto. Come risultato, Barzani si era dovuto dimettere e il progetto indipendentistico era finito nel dimenticatoio.
Adesso la parziale marcia indietro di Erdoğan, che ha autorizzato la Turkish Airlines a riprendere i voli diretti su Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, ripristinando così una linea che permette ai curdi di viaggiare e commerciare senza dover necessariamente passare per Baghdad.
Com’è ovvio, Erdoğan non fa tutto questo per bontà o spirito umanitario. Il suo è un calcolo politico: cerca di ricomporre la frattura con i curdi iracheni, stretti nella morsa tra Iraq, Iran e Turchia, mentre infuria la sua offensiva contro i curdi siriani nel cantone di Afrin e, più in generale, contro il Rojava. Offre al Kurdistan un certo sollievo per dividere il fronte curdo e sopire qualunque proposito di solidarietà con il Rojava da lui attaccato.
È una tattica piuttosto trasparente. Ma ha comunque l’effetto di far notare l’intrinseca debolezza del progetto di Grande Kurdistan, unito e indipendente, che da più di un secolo alberga nel cuore di 30 milioni di curdi. Debolezza che non sta solo nella contrarietà dei Paesi del Medio Oriente, perché mai Iraq, Siria, Turchia e Iran acconsentiranno a cedere parte del loro territorio e della loro popolazione per veder nascere un nuovo e potenzialmente concorrente Stato. Ma sta anche nelle divisioni tra gli stessi curdi.
Embargo turco o no, il Kurdistan iracheno non ha mosso un dito per aiutare i curdi siriani del Rojava, che incarnano un modello politico lontano anni luce da quello dei loro confratelli iracheni: democrazia di base, pluralismo politico, etnico e religioso, parità uomo-donna tra i siriani; politica di clan, leaderismo e consociativismo tra gli iracheni, dominati dalle famiglie Barzani e Talabani. Allo stesso modo è piuttosto scarsa la “parentela” tra i curdi iracheni e quelli turchi, i primi a subire le repressioni di Erdoğan e anche i primi a servirsi della lotta armata. Ora Erdoğan non fa che applicare il principio del divide et impera, così vecchio che secondo tradizione fu inventato da Filippo il Macedone. Principio tanto più facile da applicare quando le divisioni sono già in atto.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com