Tra poco più di due anni, entro la fine del 2019, il progetto sarà completato e i ministeri del governo egiziano saranno già tutti operativi nella nuova capitale amministrativa (il cui nome è, per ora, Cairo Capitale). Lo ha dichiarato il 18 ottobre scorso Khaled al Husseini, direttore dell’Ufficio per la cooperazione internazionale della società che sta realizzando il mega-progetto. Secondo il manager, 30 mila unità abitative sono già state completate. È dunque tempo, dice, che le ambasciate straniere comincino a pianificare il trasferimento delle loro sedi nella nuova capitale.
Il 15 ottobre scorso il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi ha partecipato a una cerimonia indetta per festeggiare la fase finale del progetto della nuova città che sorgerà circa 40 chilometri ad est della Cairo storica. Alcune delle opere in fase di realizzazione si prefiggono di diventare il simbolo dell’Egitto moderno e tecnologico: la torre più alta di tutto il continente africano, con i suoi 350 metri; ampie zone residenziali dotate di moderni servizi; imponenti centri commerciali, ma anche ampi giardini. Una volta terminata, la città avrà 5 milioni di abitanti e vedrà al lavoro quasi 2 milioni di persone.
Ci saranno anche moschee e chiese (1.250 gli edifici religiosi, quasi tutti islamici); 2 mila le scuole, 663 le strutture sanitarie. In nome della sostenibilità ambientale, grande utilizzo di impianti per le energie rinnovabili (pannelli e pale eoliche).
Dietro la mega operazione ci sono ingenti capitali provenienti dalle petro-monarchie del Golfo, che già stanno investendo massicciamente in infrastrutture nel Paese dei faraoni. E tra i nomi si fa quello dell’emiro Moahmed Alabbar, che ha costruito a Dubai il grattacielo più alto del mondo.
Il sogno di una nuova capitale, fuori dal Cairo, ricorre ciclicamente nella storia dell’Egitto moderno. Alla fine degli anni Settanta, Sadat City avrebbe dovuto sostituirsi al Cairo, diventando un centro moderno, collegato alla capitale tramite una ferrovia veloce. Ma il progetto alla fine fallì e Sadat City divenne ben presto una città satellite come tante altre. Nessun ministero, nessun centro direzionale, nessuna impresa si è mai trasferita tra le sabbie del deserto, dove era stata edificata.
Nel caso di questa nuova città le cose dovrebbero andare diversamente. Il presidente al Sisi, riuscendo laddove i suoi predecessori hanno fallito, ne avrebbe un grande ritorno d’immagine. A due anni di distanza dalla Conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto tenutasi a Sharm El Sheikh nel marzo 2015, «la città globale per il futuro dell’Egitto» sarebbe ormai ben più di un’ipotesi.