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Ombre su Netanyahu, che però tira dritto

Giorgio Bernardelli
9 settembre 2017
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La moglie del premier israeliano Benjamin Netanyahu è ufficialmente indagata per sperpero di denaro pubblico. Sospetti di corruzione anche sul marito, saldo in sella per assenza di avversari.


Dopo mesi di voci e articoli sui giornali l’incriminazione formale è arrivata: la moglie del premier israeliano Benjamin Netanyahu è ufficialmente indagata per sperpero di denaro pubblico. Ad annunciarlo è stato il procuratore generale Avichai Mandelblit. precisando che l’accusa si riferisce a 359 mila shekel (circa 84 mila euro) di spese ingiustificate tra il 2010 e il 2013. Denaro utilizzato per servizi di catering pur avendo la residenza del primo ministro uno staff di cuochi a propria completa disposizione.

Resterebbe una vicenda confinata ai numerosi esempi di spese facili nei palazzi del potere di ogni latitudine se non fosse che in Israele la vicenda di Sara appare oggi come la punta dell’iceberg delle inchieste giudiziarie che toccano da vicino il premier Netanyahu. Ben più serio è infatti il cosiddetto «Procedimento 3000», un’inchiesta sulla fornitura alla marina israeliana di tre nuovi sottomarini da parte della ThyssenKroup che sta facendo venire a galla un grosso giro di tangenti. Nei giorni scorsi vi è stata una serie di arresti tra cui quello eccellente di David Sharan, che dal 2014 al 2016 fu il capo di gabinetto di Netanyahu, cioè il suo principale collaboratore. Dopo il primo interrogatorio il fermo è stato prorogato fino a martedì e gli inquirenti parlano di ulteriori sviluppi che starebbero emergendo dalle testimonianze.

C’è inoltre almeno un terzo filone di indagini che investe direttamente i rapporti tra Benjamin Netanyahu e i media israeliani. Un’altra inchiesta – denominata Procedimento 2000, anche questa in corso da mesi – ha infatti al centro un accordo che il premier nel 2014 (cioè prima delle ultime elezioni del marzo 2015 vinte contro tutti i pronostici) avrebbe cercato di stringere con Arnon Mozes, l’editore di Yedioth Ahronoth, il più diffuso quotidiano a pagamento israeliano. Stando alle registrazioni di alcuni colloqui, Netanyahu avrebbe offerto a Mozes di ridurre la tiratura di Israel HaYom – il quotidiano gratuito a lui molto vicino, che negli ultimi anni ha superato Yedioth Ahronoth nella diffusione – in cambio di un atteggiamento «meno ostile» nei suoi confronti. Nei colloqui avrebbe chiesto anche la testa di Nahum Barnea – uno dei più famosi giornalisti israeliani, nonché uno dei critici più feroci di Netanyahu nell’opinione pubblica israeliana – rimasto peraltro al suo posto come editorialista di Yedioth Ahronoth. Oltre alla proposta indecente per un premier, dall’indagine è però emerso anche fino a che punto il legame tra il premier e Israel HaYom sia stretto: dalle verifiche dei tabulati telefonici sono emerse centinaia di chiamate di Netanyahu all’editore – il magnate americano dei casinò Sheldon Adelson – e al direttore Amos Regev. In particolare sotto elezioni con quest’ultimo vi sarebbero state telefonate praticamente quotidiane a tarda sera, proprio nell’orario in cui i giornali chiudono la prima pagina. In pratica vuol dire che il titolo di apertura del quotidiano più diffuso sarebbe stato concordato con il premier in corsa per la rielezione, cosa un po’ problematica dal punto di vista delle regole del gioco in una campagna elettorale.

Ce ne sarebbe probabilmente a sufficienza per travolgere un leader politico in qualsiasi Paese. Ma non Netanyahu, che invece resta saldamente in sella. In queste ore ha difeso a spada tratta la moglie Sara, dipingendola una dona «parsimoniosa» e scaricando tutte le responsabilità su un dipendente corrotto. Con tranquillità il primo ministro si appresta a partire per un viaggio che nei prossimi giorni lo porterà in America Latina, dove farà tappa anche in Argentina, primo ritorno di un politico israeliano dopo l’attentato del 1994 al Centro ebraico di Buenos Aires.

Perché il punto è che – al di là di tutte le vicende giudiziarie – Netanyahu può contare sull’alleato di sempre: l’assoluta inconsistenza dei suoi avversari politici nell’attuale scenario delle forze d’opposizione in Israele. Come osservava acutamente qualche giorno fa Mazal Mualem in un articolo su Al Monitor le uniche bordate da cui sta provando a difendersi sono quelle che gli piovono dall’ex-premier Ehud Barak. Cioè da uno che – nonostante i suoi ripetuti tentativi di rientrare – resta tagliato fuori dai giochi della politica israeliana. Non sarà la tangentopoli israeliana a far cadere Netanyahu. Almeno fino a quando i suoi avversari penseranno più a farsi la guerra tra loro che a proporre un’alternativa plausibile.

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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