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Preghiera mista al Kotel, Netanyahu si rimangia il sì

Giorgio Bernardelli
28 giugno 2017
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Il governo israeliano ci ha ripensato e al Muro del Pianto, nel cuore di Gerusalemme, non ci sarà una nuova area per la preghiera senza separazione tra sessi. Insorgono molti ebrei americani.


Da domenica segna tempesta il barometro dei rapporti tra il governo Netanyahu e buona parte dell’ebraismo americano. Le comunità riformate e conservative – maggioritarie negli Stati Uniti – sono infatti su tutte le furie perché, cedendo alle pressioni dei partiti religiosi (ultra-ortodossi) il governo di Israele ha di fatto annullato l’accordo faticosamente raggiunto nel gennaio 2016 sulla questione dell’«area egalitaria» per la preghiera al Muro Occidentale.

L’accordo – mediato da Nathan Sharansky, l’ex dissidente russo all’epoca presidente dell’Agenzia ebraica – mirava a risolvere due questioni: da una parte la rivendicazione delle Donne del Muro, movimento femminista ebraico che ogni mese manifesta per il diritto di pregare al Kotel con il talled  e i filatteri, le modalità della preghiera riservate agli uomini nel giudaismo ortodosso; dall’altra l’usanza delle comunità ebraiche riformate e conservative (piccola minoranza in Israele), che nelle loro sinagoghe non prevedono la separazione tra uomini e donne e dunque vorrebbero poter pregare insieme anche nel luogo dove sorgeva il Tempio. La soluzione trovata da Sharansky era stata il classico compromesso: già dal 2003 – accanto alle due grandi sezioni per gli uomini e per le donne – la Corte Suprema israeliana aveva imposto l’apertura al Muro Occidentale di una terza sezione, riservata alla preghiera nelle forme non contemplate dal giudaismo ortodosso. Nei fatti  l’idea si era però tradotta in una piattaforma piccola, semi-nascosta e difficilmente accessibile. L’accordo del gennaio 2016 prevedeva quindi l’ampliamento di questa terza sezione nella parte sud della piazza – quella più vicina all’arco di Robinson – con modalità che la rendessero sempre aperta. In cambio i «non ortodossi» si impegnavano a non accampare più pretese sulla parte principale della piazza, che è poi quella che si trova immediatamente di fronte chi si reca al Kotel.

Per un anno e mezzo quest’intesa è rimasta comunque solo sulla carta, per via del boicottaggio dei partiti religiosi che fanno parte della coalizione che sostiene il governo Netanyahu. Fino a quando, domenica 25 giugno, queste forze politiche hanno raggiunto il loro risultato: con una decisione choc il governo israeliano ha ufficialmente congelato l’attuazione dell’accordo, riaprendo di fatto la discussione.

Da qui la polemica molto dura in corso in queste ore all’interno del mondo ebraico americano. Con le comunità riformate e conservative che minacciano boicottaggi anche clamorosi, non gradendo affatto di sentirsi escluse dal Muro Occidentale proprio da quel governo Netanyahu che così tante volte ha fatto appello agli Stati Uniti per la difesa dell’identità ebraica di Israele.

L’impressione è che in gioco ci sia molto più di una questione logistica. E lo sottolineano bene anche due tra i tanti commenti apparsi in queste ore sui siti israeliani. Da una parte, infatti, c’è la questione del rapporto con l’ebraismo americano, che è tendenzialmente di orientamento liberal ma comunemente sostiene senza farsi troppe domande le politiche dei governi israeliani. «Gli ebrei americani non possono aspettarsi che Israele sia liberal solo quando vogliono loro», ha commentato in maniera graffiante Noam Sheifaz, sul blog dichiaratamente di sinistra +972.

Ma la domanda vera sollevata da tutta questa vicenda è soprattutto un’altra: a cinquant’anni dal 1967 che cos’è oggi il Muro Occidentale? Più d’uno in questi giorni ha fatto notare che prima del 1948 il problema della sezione egalitaria neanche si poneva: non c’erano spazi distinti per uomini e donne quando il Kotel era uno spazio angusto. Le cose sono cambiate dopo, quando è diventata la grande sinagoga a cielo aperto, simbolo della Gerusalemme ritrovata. È stato allora – osserva con la consueta lucidità rav Goshen Gottstein – che il Muro è diventato un simbolo di potere. Per l’ebraismo ortodosso, che vi ha voluto imporre le sue regole; ma in fondo anche per riformati e conservative che (specularmente) hanno cominciato a rivendicare la loro fetta. Per questo – scrive Goshen Gottstein – oggi sarebbe bene meditare le parole di un grande intellettuale ebraico come Yeshayahu Leibowitz, che metteva in guardia dall’idolatria del Muro Occidentale. Provare a riportare il Kotel a ciò che è realmente: un’assenza – quella del Tempio distrutto duemila anni fa – che parla della Shekinah, la presenza dell’Unico che conta davvero. Senza logiche mondane e idoli costruiti da mani d’uomo intorno.

Clicca qui per leggere il commento di Noam Sheifaz

Clicca qui per leggere il commento di Alon Goshen Gottstein

 


 

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