Il Libano dispone di risorse di gas e petrolio dal valore di decine di miliardi di dollari ed estraibili per i prossimi quarant’anni. È quanto è emerso da Vertice internazionale sul petrolio e il gas in Libano, che si è svolto a Beirut il 3 e il 4 dicembre. Lo sfruttamento di queste risorse avrebbe molte ripercussioni nella regione. Le sfide da affrontare.
(Milano) – Il futuro economico del Libano è in alto mare. Se ne sono resi conto – fuor di metafora – i partecipanti al Vertice internazionale sul petrolio e il gas in Libano, che si è svolto a Beirut il 3 e il 4 dicembre. Salah Khayat, amministratore delegato di Petroleb, la maggiore società estrattiva del Paese, nel corso della due giorni ha dato ai presenti una notizia esplosiva: «Il Libano dispone di risorse di gas e petrolio dal valore valutabile in decine di miliardi di dollari ed estraibili per i prossimi quarant’anni». Risorse anche superiori a quelle che Israele ha trovato al largo delle proprie coste già negli scorsi anni, ha aggiunto con soddisfazione Khayat.
Grazie a questi giacimenti sottomarini di gas naturale, il Libano potrebbe diventare una nazione più forte e autonoma, in grado di esportare materie prime e aumentare il proprio peso nel contesto internazionale. Un mutamento che potrebbe influire sugli equilibri e i rapporti tra i Paesi della regione, ma al quale guarda con attenzione – non priva da un certo timore – il mondo della finanzia e dell’industria. Sven Behrendt, responsabile dell’ufficio rischi politici della società di consulenze economiche GeoEconomica, nel suo intervento al vertice ha spento l’entusiasmo dei partecipanti: «Per il Libano Potrebbe essere un rischio o una benedizione, visti gli odi e le divisioni settarie che qui ancora esistono». «Potete essere sulla strada dell’inferno o del paradiso – ha rincarato la dose Carole Nakhle, direttore di Crystal Energy Ltd -. Quindi, procedete con cautela…». Un simile scetticismo non sembra privo di fondamento. Infatti l’antagonismo tra i due schieramenti politici in cui è spaccato il Libano (la Coalizione 8 marzo, filo-siriana e oggi al governo, e gli oppositori della Coalizione 14 marzo, ostile al regime di Damasco) avrebbe già causato forti ritardi negli anni scorsi, sia nella definizione della legge che autorizza la ricerca di giacimenti di gas e petrolio, sia sulla formazione della Commissione per l’amministrazione petrolifera, che vigila sull’industria energetica nazionale. Ci sono voluti mesi perché la legge, nel 2010, venisse approvata mentre solo il mese scorso, raggiunto un compromesso tra le due parti politiche, sono stati indicati i sei membri della Commissione, scelti in rappresentanza delle principali fazioni religiose del Libano. Ora che il governo è sul punto di vendere i diritti di esplorazione dei giacimenti appena scoperti (tra le società interessate la Dutch Shell, la Cairn Energy e la Cover Energy), il timore di non pochi osservatori è che le due parti politiche tornino a scontrarsi, nel tentativo di accaparrarsi parte della grande ricchezza proveniente dallo sfruttamento dei giacimenti.
D’altra parte vi sono anche rischi sul versante della politica estera. Israele e Libano non hanno mai raggiunto un accordo che definisca con precisione i confini delle rispettive acque territoriali. Esiste, anzi, uno spicchio di mare di 850 chilometri quadrati conteso tra le due nazioni, formalmente ancora belligeranti (l’ultima guerra è dell’estate 2006). Stando così le cose tra Israele e Libano, le industrie petrolifere si domandano a quale dei due Stati spetti la sovranità sui giacimenti. Hezbollah, il movimento sciita libanese che dispone di un proprio esercito e di uno sterminato arsenale, ha già dichiarato di voler «proteggere» le risorse nazionali sottomarine; già nel 2010, gli faceva eco l’allora ministro israeliano delle infrastrutture Uzi Landau, il quale diceva che il suo governo avrebbe usato la forza pur di proteggere i propri giacimenti naturali. Durante il vertice di Beirut uno spiraglio è stato aperto da uno dei partecipanti al convegno: Solon Kassinis, direttore del dipartimento per l’Energia di Cipro. Kassinis ha dichiarato ad Associated Press la disponibilità del governo di Nicosia a mediare tra i due contendenti.
Anche Paul Salem, direttore del Carnegie Middle East Center, intervenendo al Vertice ha valutato che i rischi politici di uno sfruttamento dei giacimenti sarebbero alti. I persistenti conflitti tra Turchia e Cipro, Israele e Libano, la guerra siriana e le tensioni dell’area, devono essere tenuti in considerazione. La guerra civile siriana, ha detto Salem, ha già intralciato il progetto del Libano di connettersi al gasdotto arabo, che al momento unisce Egitto e Giordania. Ma, secondo Salem, il gas naturale potrebbe anche essere un’opportunità unica per la pace: potrebbe servire ad alimentare le centrali di desalinizzazione, utili ad allontanare lo spettro di una guerra regionale sulle risorse idriche. La ricchezza proveniente dalla vendita del gas potrebbe essere utilizzata per combattere la disoccupazione e aumentare il Pil. Tra le misure per limitare i rischi politici, l’avvertenza potrebbe essere quella di attrarre investitori internazionali, incluse le compagnie petrolifere di Russia, Qatar, Cina, Turchia e Iran, «quando possibile».
In ogni caso sembrano prospettarsi tempi lunghi per trasformare il Libano in un Paese produttore di idrocarburi: «Anche se alcuni pozzi in mare aperto potrebbero essere già operativi entro venti mesi – ha affermato Naji Abi-Aad, responsabile dell’ufficio operativo di Petroleb –, ci vorranno almeno otto anni per essere in grado di produrre gas naturale pronto per l’esportazione». Il primo passaggio che il Paese dei cedri dovrà affrontare sarà quello trasformare le proprie infrastrutture, cambiando l’alimentazione delle centrali elettriche da diesel a gas naturale. Poi occorrerà realizzare un oleodotto costiero, opera ancora in fase progettuale, e infine trovare Paesi acquirenti.
In questi anni intanto Israele, naturale antagonista del Libano nella regione, non ha perso tempo: ha già esplorato intensivamente le sue acque territoriali e due dei giacimenti scoperti, a breve inizieranno a produrre. Gli esperti prevedono che le riserve venute alla luce, soddisferanno le necessità energetiche interne a Israele per i prossimi vent’anni.