Tamarrud: una ribellione pacifica
A poco più di un mese dall’anniversario dell’insediamento del presidente Mohammed Morsi, sta prendendo rapidamente quota una nuova iniziativa di protesta popolare, alla quale è stato dato il nome di Tamarrud, cioè ribellione, disobbedienza, ammutinamento. Una ribellione pacifica, però, anche se non per questo meno insidiosa...
A poco più di un mese dall’anniversario dell’insediamento del presidente Mohammed Morsi, sta prendendo rapidamente quota una nuova iniziativa di protesta popolare, alla quale è stato dato il nome di Tamarrud, cioè ribellione, disobbedienza, ammutinamento. Una ribellione pacifica, però, anche se non per questo meno insidiosa. L’obiettivo ambizioso è quello di raccogliere 15 milioni di firme (più di tre volte la popolazione del Libano e una volta e mezza quella della Tunisia) entro il 30 giugno 2013, con le quali s’intende chiedere la sfiducia di Morsi e l’annuncio di elezioni presidenziali anticipate.
L’iniziativa è cominciata in sordina il primo maggio scorso e, dopo due settimane di lavoro febbrile, lontano dai riflettori, sta ora attirando l’attenzione e il sostegno dei più noti movimenti politici di opposizione e di personalità di rilievo in tutti i campi, assieme alle ire, naturalmente, dei Fratelli Musulmani. Si comincia a parlarne persino sui nostri mezzi d’informazione.
In effetti, la popolarità del presidente Morsi è andata costantemente calando nell’ultimo anno, specie dopo la dichiarazione costituzionale del novembre 2012, con la quale si arrogava sostanzialmente tutti i poteri, mettendo in un angolo la magistratura. Inoltre, a detta di molti egiziani, non si è vista nessuna misura concreta da parte sua per affrontare i problemi cruciali che affliggono l’Egitto e che spaziano dal campo dell’economia a quello dei diritti umani. Un recente sondaggio del Baseera Centre ha rivelato che soltanto il 30 per cento degli egiziani, oggi, voterebbe ancora per Morsi, contro il 57 per cento registrato dopo i primi cento giorni del suo mandato. Gli organizzatori di Tamarrud, dal canto loro, dichiarano di aver fin qui raccolto tre milioni di firme in tutto il Paese.
Ciò che interessa di questa campagna, tuttavia, indipendentemente dal risultato che potrà raggiungere, è la modalità con la quale è nata, le persone che ha coinvolto e il successo che sta ottenendo. Ancora una volta, i promotori non sono stati i membri dell’opposizione ufficiale (per inciso, il già citato sondaggio del Baseera Centre rivela anche che due terzi degli egiziani non hanno mai nemmeno sentito parlare del Fronte di salvezza nazionale di Mohammed el Baradei). A dar vita a Tamarrud, in maniera spontanea e indipendente, è stato un gruppo di giovani senza particolari connotazioni politiche, alcuni appartenenti al movimento Kifaya altri no. Anzi, si tratta addirittura di giovanissimi, tanto che si parla di una generazione emergente di attivisti ventenni che ha preso in contropiede quella di trentenni e quarantenni, ormai nota anche internazionalmente.
Tamarrud è una delle tante iniziative dal basso partite da cittadini che desiderano cambiare in meglio il proprio Paese e se ne assumono direttamente la responsabilità. A differenza di altre, tuttavia, ha acquisito impulso fino a impensierire seriamente i sostenitori di Morsi e il suo governo. La raccolta di firme si è diffusa capillarmente grazie al passaparola e al dispiegamento di molti attivisti in punti nevralgici del territorio, ma anche grazie alla collaborazione volontaria di comuni cittadini (per esempio negozianti) che sono diventati centri di distribuzione delle schede da firmare (per farlo bisogna essere in possesso della carta d’identità), le quali sono infine raccolte dagli organizzatori della campagna.
Tamarrud sta mobilitando milioni di persone, segno che il Paese non si arrende. È la prova che esiste un Egitto numericamente consistente (e che non si divide in laici e islamisti), impegnato nell’infaticabile ricerca quotidiana di una via pacifica per realizzare gli ideali della rivoluzione del gennaio 2011. È l’Egitto che non si accontenta di vecchie soluzioni e di una classe politica ormai sfiduciata, che si tratti del governo o dell’opposizione. È l’Egitto che non cede alla tentazione della violenza, ma insiste nella lotta con metodi democratici. È l’Egitto che non rinnega la propria rivoluzione, per esempio invocando l’intervento dell’esercito per liberarsi degli islamisti, ma che unisce le forze per tracciare una nuova strada, senza aspettare l’azione dall’alto di un salvatore.
Di fronte all’estate che si avvicina, e che promette di essere rovente sotto tutti i punti di vista, Tamarrud sta restituendo un poco di speranza.