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La testimonianza dell’arcivescovo siro-cattolico di Mosul in Terra Santa

Terrasanta.net
15 febbraio 2016
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La testimonianza dell’arcivescovo siro-cattolico di Mosul in Terra Santa
Monsignor Youhanna Boutros Moshe, arcivescovo siro cattolico di Mosoul, fotografato nei giorni scorsi a Gerusalemme (foto: Nadim Asfour/Cts)

L’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, monsignor Youhanna Boutros Moshe, era in Terra Santa nei giorni scorsi per la celebrazione della Giornata mondiale del malato. Terrasanta.net ha raccolto la sua testimonianza: «Sono qui per raccontare e sensibilizzare. Il timore è che i fedeli della Chiesa siro-cattolica in Iraq possano scomparire del tutto».


(n.h.) – L’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, monsignor Youhanna Boutros Moshe, era in Terra Santa nei giorni scorsi per la celebrazione della Giornata mondiale del malato, che quest’anno ha avuto come cuore il santuario mariano di Nazaret. «Nelle condizioni drammatiche in cui versa l’Iraq la mia missione è informare e sensibilizzare le coscienze sulla situazione di Mosul – ha dichiarato il presule a Terrasanta.net –. Lo faccio anche per scongiurare che i fedeli della Chiesa siro-cattolica in Iraq scompaiano del tutto».

È il 10 giugno 2014 e molte famiglie hanno solo pochi minuti di tempo per fuggire da Mosul, dopo che la città è stata presa dagli uomini dello Stato islamico (Isis). Così l’intera Piana di Ninive, culla della civiltà assira, si svuota degli ultimi cristiani rimasti. «Dopo l’arrivo dell’Isis i cristiani sono stati espulsi da Mosul ma anche dai villaggi circostanti», racconta l’arcivescovo. Oggi la città di Erbil, nel Kurdistan iracheno, rappresenta uno degli ultimi bastioni dei profughi cristiani d’Iraq. «Quasi tutti i cristiani che abitavano nella regione hanno trovato rifugio lì, anche se alcuni si sono diretti verso altre città irachene, come Baghdad o Bassora. Ci sono famiglie che dal Kurdistan hanno scelto di varcare la frontiera, verso i Paesi vicini. Solo per dire dei fedeli della mia diocesi, 1.000 famiglie sono riparate ad Amman, in Giordania, 1.500 in Libano, 700 in Turchia e un centinaio in Europa», informa mons. Moshe.

Lo stesso arcivescovo vive esiliato a Erbil, con parte della sua comunità. «Sono venuto in Terra Santa – spiega – con una delegazione incontrata in Italia durante una conferenza nella quale riferivo la mia testimonianza. Chi mi ascoltava è rimasto colpito dalla situazione che andavo descrivendo e mi ha chiesto di partecipare a questo pellegrinaggio perché potessi riferire anche a Gerusalemme e a Nazaret quanto ci sta accadendo».

L’arcivescovo prosegue i suoi giri in Europa per sensibilizzare in merito alla situazione delle famiglie cristiane d’Iraq. Con la polverizzazione in atto, il timore è che la comunità possa estinguersi. «Il numero dei fedeli della nostra Chiesa (siro-cattolica) non è alto – spiega il presule –. Non supera le 170 mila persone. La diocesi di Mosul da sola ne contava 50 mila. All’inizio si sono disseminate in sessanta luoghi diversi. Ho fatto del mio meglio per tenermi in contatto costante con loro, andando a trovarle e, quando possibile, celebrando la messa. Una diocesi ormai sparpagliata può portare alla sparizione della Chiesa siro-cattolica».

Nelle sue visite all’estero, l’arcivescovo rivolge ai governi l’appello ad accogliere varie centinaia di famiglie cristiane insieme, e non con il contagocce, per evitare la completa disintegrazione della sua comunità. «Fin qui ad averci aiutato sono state le Chiese e le nazioni cristiane del mondo, soprattutto d’Europa. Sono state solidali con noi, anzitutto con le preghiere, poi con la presenza al nostro fianco ma anche con gli aiuti materiali oggi come oggi indispensabili».

Il futuro, secondo l’arcivescovo resta oscuro e sul terreno non si intravvede una liberazione della città entro breve tempo. Tuttavia, «continuiamo a sperare in Dio e nelle persone di retta coscienza. Io lo so che donne e uomini di buona volontà non mancheranno mai nel mondo».

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