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Preghiera ecumenica a Gerusalemme: «Nella persecuzione più uniti»

Carlo Giorgi
29 gennaio 2015
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Preghiera ecumenica a Gerusalemme: «Nella persecuzione più uniti»
Alcuni dei religiosi presenti nella basilica dell'Agonia, a Gerusalemme, per la preghiera ecumenica del 28 gennaio 2015. (foto C. Giorgi)

Di fronte all’avanzata del fondamentalismo islamico, a persecuzioni e sofferenze, i cristiani di Terra Santa devono offrire due segni: l’amore reciproco e la preghiera. È questo il cuore dell’omelia pronunciata ieri, 28 gennaio, dal Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, in occasione della Preghiera solenne per l’unità dei cristiani celebrata al Getsemani nella basilica dell’Agonia.


Di fronte all’avanzata del fondamentalismo islamico, a persecuzioni e sofferenze che subiscono oggi più che mai, i cristiani di Terra Santa devono offrire al mondo due segni: l’amore reciproco e la preghiera. È questo il cuore dell’omelia pronunciata ieri, 28 gennaio, dal Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, in occasione della Preghiera solenne per l’unità dei cristiani celebrata al Getsemani nella basilica dell’Agonia. In Terra Santa la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si svolge in ritardo rispetto agli altri Paesi, per rispettare la celebrazione del Natale armeno ortodosso, che qui cade il 19 gennaio.

Nella basilica, gremita soprattutto da cristiani locali, canti e preghiere sono risuonati in molte lingue diverse tra cui etiopico, ebraico e arabo. I capi religiosi delle varie Chiese si sono disposti assieme al Custode intorno alla pietra dell’agonia, nel luogo dove Gesù pregò intensamente prima di venire tradito. E il Custode, nella sua omelia, ha commentato un passo della Prima lettera di san Giovanni (1 Gv capitolo 4, versetti 7-16) e il racconto dell’agonia di Gesù al Getsemani (Vangelo di Luca, cap. 22 vv. 39-46). «La Parola di Dio oggi ci richiama a due atteggiamenti tipici della vita cristiana – ha spiegato fra Pizzaballa –. Il primo è quello dell’amore reciproco. I cristiani devono farsi riconoscere non per la potenza delle loro opere o delle loro istituzioni. Non saranno le nostre strategie a salvarci! Il nostro amarci gli uni gli altri deve essere la luce che illumina e che rende presente concretamente nelle nostre opere l’amore di Dio per l’uomo. (…). Il secondo atteggiamento è la preghiera. Può sembrare strano oggi di fronte a tante ingiustizie e soprusi, limitarsi a reagire con la preghiera. (…) La preghiera non è la risposta contro il male del mondo, che richiede certo un’azione concreta (…) essa però ci consente di comprendere il modo nel quale stare dentro questa lotta contro il male (…). Per essere veri costruttori di pace abbiamo bisogno di imparare continuamente il modo di stare dentro la vita, dentro questa lotta, amando l’uomo appassionatamente, attingendo la forza dalla preghiera».

Fra Pizzaballa, incontrando i giornalisti alla vigilia della preghiera ecumenica, ha fatto il punto sul cammino ecumenico in Terra Santa. «Abbiamo avuto una forte accelerazione delle nostre relazioni – ha osservato il Custode -: prima era raro ritrovarsi a pregare insieme o firmare documenti comuni. Negli ultimi due anni, invece, sono accaduti avvenimenti che hanno mutato la nostra percezione: il sentirsi circondati dal pericolo del fondamentalismo ci ha avvicinato molto. Percepiamo infatti che nella nostra società il Califfato ha una forza di attrazione incredibile. I nostri cristiani, che vivono in mezzo alla gente, non riescono a capacitarsi di quello che sentono dire… In tutto questo non possiamo però rassegnarci alla prospettiva della guerra di civiltà – ha concluso il Custode –. Nel senso che la guerra di civiltà non può essere una prospettiva accettabile mai! L’unica prospettiva a cui aspirare è la convivenza di tutti secondo regole chiare e condivise. In questo discorso vale anche il punto di vista della fede: partendo da lì, infatti, non posso credere che ci siano un miliardo e 700 milioni di persone di cui essere antagonisti, così come non posso credere che quel miliardo e 700 milioni di persone siano tutte contro la Chiesa!».

Anche monsignor William Shomali, vicario del patriarcato latino, incontrando i giornalisti ha sottolineato la possibilità concreta di costruire relazioni di pace tra le Chiese. «L’ecumenismo è anche umiltà – ha spiegato mons. Shomali –. In questo senso Papa Francesco, nel corso del suo pellegrinaggio in Terra Santa ha insegnato molto a tutti noi. C’è stato un suo gesto che forse pochi hanno colto, durante la celebrazione comune con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, al Santo Sepolcro. Tutto era stato studiato nei dettagli, per mettere il papa cattolico ed il patriarca ortodosso sullo stesso piano: La doppia lettura del vangelo, la doppia omelia e anche l’ingresso in basilica l’uno a fianco all’altro. Solo che in un certo punto nella basilica il passaggio diventa stretto e può passare una sola persona alla volta. A chi dare la precedenza tra i due pastori? Poteva nascere un caso diplomatico. Gli organizzatori hanno scelto di non scegliere, lasciando che scegliessero Francesco e Bartolomeo. Sul più bello, quando Francesco e Bartolomeo si sono trovati nel punto stretto, Francesco ha spinto avanti Bartolomeo, obbligandolo ad essere primo». Un altro segno di pace è la presenza, nella Chiesa latina di Terra Santa, di una piccola comunità di lingua ebraica: «Sono 500 persone, ebrei convertiti al cattolicesimo o immigrati. Pochi ma entusiasti! Roma ha deciso di non costituire una diocesi autonoma per questi cristiani di lingua ebraica, affidandoli invece alle cure del patriarcato “arabo”. Così noi cristiani di Terra Santa, di cultura araba e di lingua ebraica, viviamo insieme nella Chiesa, facendo la pace tra noi. E questo è un bel segno per tutti».

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