Cresce in modo preoccupante la pressione contro i cristiani in Libia. Un quotidiano egiziano racconta che giovedì 28 febbraio un uomo armato ha attaccato una chiesa copto-ortodossa a Bengasi, assaltando due preti. L’agenzia Fides riferisce invece di un’aggressione a un sacerdote cattolico a Tripoli, da parte di membri di una milizia armata.
(Milano/c.g.) – Cresce in modo preoccupante la pressione contro i cristiani in Libia. Il quotidiano egiziano Egypt Independent racconta che giovedì 28 febbraio un uomo armato ha attaccato una chiesa copto-ortodossa nella città orientale di Bengasi, assaltando due preti. L’agenzia Fides riferisce invece di un’aggressione a un sacerdote cattolico a Tripoli, da parte di membri di una milizia armata.
Il ministero degli Esteri libico , da parte sua, ha «condannato con forza l’attacco contro la chiesa copta e i due sacerdoti», esprimendo grande preoccupazione, poiché un atto del genere è contrario alle leggi dell’Islam e lede i diritti umani. D’altra parte, solo il giorno dopo il quotidiano copto Al Watani ha dato la notizia dell’arresto, sempre a Bengasi, di un grande numero di copti – stimati tra i 50 e i 102- lavoratori egiziani residenti in Libia, imprigionati con l’accusa di «diffondere il cristianesimo». Secondo le autorità libiche sarebbero stati in possesso di bibbie, libri cristiani e immagini sacre. Al momento dell’arresto, l’arcivescovo copto ortodosso di Beheria, Matrouh e Pentapolis, anba Pacomio, si trovava in Etiopia per seguire l’intronizzazione del nuovo patriarca della Chiesa ortodossa etiope (abuna Mathias, 78 anni, già arcivescovo a Gerusalemme, eletto il 28 febbraio) e si è subito messo in contatto con l’ambasciatore egiziano a Tripoli e il console a Bengasi.
Naguib Gabrail, avvocato copto e attivista dei diritti umani, ha dichiarato che l’arresto di un così gran numero di copti con il pretesto della «diffusione del cristianesimo» è un grave precedente che viola i diritti umani e potrebbe causare la mobilitazione della comunità internazionale.
Pressioni e violenze contro i cristiani in Libia sono aumentate negli ultimi mesi: «Non passa giorno senza che almeno una tomba non sia vandalizzata», ha raccontato in un’intervista ad Al Arabiya, a metà febbraio, Bruno Dalmasso, guardiano del cimitero italiano di Tripoli. «Ossa umane – continua – sono state tolte dalle loro tombe e sparpagliate nel cimitero. Le autorità sono venute e hanno fotografato, promettendo di prendere provvedimenti. Ma non è stato fatto nulla».
A dicembre una bomba contro una chiesa ha ucciso due persone nella città costiera di Dafniya. Nella chiesa cattolica di San Francesco a Tripoli, nonostante la paura, dozzine di persone – soprattutto stranieri di nazionalità indiana, delle Filippine e di diversi Paesi africani – partecipano alla messa ogni settimana. «Non ci sono misure di sicurezza davanti alla chiesa e chiunque può muoversi liberamente – osserva padre Dominique Rezeau –. In Cirenaica la pressione è aumentata, alcune congregazioni di suore sono state costrette ad andarsene. I cristiani al tempo di Gheddafi in Libia potevano forse essere 100 mila; oggi non sono più di poche migliaia».
Il vicario apostolico di Tripoli, il vescovo Giovanni Innocenzo Martinelli, ha spiegato che le suore della congregazione della Sacra Famiglia di Spoleto e le Suore francescane di Gesù Bambino hanno dovuto, nei mesi scorsi, abbandonare Bengasi dopo le «pressioni subite da parte dei fondamentalisti islamici».