Aaron Leib Steinman, un rabbino israeliano di 96 anni, giorni fa ha messo alla porta il collega Shmuel Eliyahu, che avrebbe voluto coinvolgerlo in un suo pronunciamento che censura gli ebrei che in Israele vendono o affittano casa agli arabi. Il gesto dimostra che non tutti sono disposti a strumentalizzare la Torah.
Leggendo i giornali non capita spesso di rimanere affascinati da una persona. Ebbene: a me in questi giorni è capitato. Il mio nuovo mito si chiama Aaron Leib Steinman, ed è un rabbino israeliano di 96 anni. L’altro giorno ha compiuto un gesto di una forza impressionante: non ha nemmeno voluto ricevere il rabbino capo di Safed – il solito rav Shmuel Eliyahu, noto per le sue posizioni oltranziste – che avrebbe voluto coinvolgerlo in un suo pronunciamento secondo cui sarebbe immorale in Israele per un ebreo vendere o affittare una casa a un arabo.
L’iniziativa di rav Eliyahu va avanti ormai da parecchie settimane e proprio in questi giorni questo provocatore nato è arrivato a sbandierare l’adesione di cinquanta rabbini. Ma non quella di rav Steinman. Che non si è limitato a dire di no, come del resto sta facendo la maggior parte della società civile israeliana di fronte a un’iniziativa chiaramente razzista. L’anziano rabbino ha compiuto un gesto che dice molto di più: lasciandolo fuori da casa sua ha voluto marcare tutta la distanza che esiste tra questi fanatici nazionalisti che si ritengono religiosi solo perché portano in testa una kippah e la vera fedeltà alla Torah, coltivata da generazioni di haredim, gli ebrei ultra-ortodossi.
«Stanno portando avanti una fiera istanza nazionalista – ha spiegato rav Steinman ai suoi seguaci -. Noi non vogliamo irritare gli altri; irritare gli altri non è un comportamento haredi. Ci sono cose che non devono essere fatte; che cosa faremmo noi se a Berlino venisse fuori un invito simile a non affittare proprietà agli ebrei? Dov’è la coscienza pubblica? Quali danni potrebbe portare un comportamento del genere agli ebrei di tutto il mondo? Dobbiamo agire in maniera responsabile».
La cosa importante da aggiungere è che rav Steinman non è un liberal come Arik Ascherman o altri rabbini dell’associazione Rabbini per i diritti umani. Originario della Lituania è anche lui il leader di un movimento politico israeliano, Degel HaTorah, che aderisce a Yahadut HaTorah (United Torah Judaism), uno dei partiti religiosi rappresentati alla Knesset. Sono sicuro, dunque, che su tante altre cose non mi ritroverei nelle parole e nei gesti di rav Steinman. Ma quella scelta di lasciare il rabbi preferito dai coloni fuori da casa sua resta comunque di una forza straordinaria. Perché è il gesto dell’anziano maestro che tratta il rabbino capo di Safed (la città della kabbalah) come un moccioso che non sa leggere la sostanza di ciò che è scritto nel Libro. È un gesto che ricorda come la Torah non possa essere piegata a nostro uso e consumo. E testimonia come sia profondamente sbagliato guardare pregiudizialmente con sospetto tutto il mondo degli haredim.
L’ho già scritto altre volte: l’unica pace possibile a Gerusalemme è una pace santa. E in questa santità i valori dell’ebraismo hanno un ruolo fondamentale. Ci sono tanti usi strumentali della religione, anche in Israele. Lo abbiamo visto in questi stessi giorni in cui – di fronte al dramma del rogo sul monte Carmelo con i suoi morti – un altro anziano rabbino, rav Ovadia Yosef, il leader spirituale dello Shas (altro partito religioso) è arrivato ad affermare che il fuoco sprigionatosi nei giorni di Hannukah sarebbe stato una punizione divina per il fatto che nel nord di Israele non si osserva a sufficienza la Torah. Peccato che – guarda caso – il ministro dell’Interno Eli Yishai, nell’occhio del ciclone perché responsabile del servizio antincendi dimostratosi paurosamente impreparato, sia proprio un esponente dello Shas. Forse che la religione in questo caso serve a coprire un altro tipo di responsabilità?
Eppure la fede in Israele non è solo questo, come la storia di rav Steinman testimonia molto bene. Il giorno in cui lo capiremo forse riusciremo davvero a far uscire il processo di pace dall’ennesimo binario morto in cui si è incagliato.
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