Preoccupano le condizioni del Mar Morto, il grande lago salato che bagna Israele, Giordania e Territori palestinesi. Negli ultimi vent'anni il livello delle sue acque è diminuito di un metro all'anno. La cura potrebbe essere un canale lungo 200 chilometri per portare altre acqua dal Mar Rosso. Il progetto è finanziato ma per ora non se ne fa nulla, in attesa che Israele e Autorità palestinese trovino un accordo.
Il Mar Morto? Rischia la vita. Il gioco di parole rende bene la situazione attuale in cui versa il bacino di acqua salata più grande del mondo, che si trova nel cuore della Grande Rift Valley e raccoglie le acque del fiume Giordano. La zona, la più profonda depressione della terra, è considerata riserva naturale, mentre le acque del Mar Morto sono note per le proprietà terapeutiche che ne fanno la meta di un turismo qualificato.
Eppure, se non si invertirà l’attuale tendenza, il Mar Morto tra qualche anno potrebbe essere un ricordo. Per scongiurare questo pericolo, lungo tutto il 2006 gli organismi e gli Stati firmatari della Convenzione Internazionale di Ramsar (l’accordo che si propone di tutelare le Zone Umide di importanza internazionale sottoscritto da più di un centinaio di Paesi, istituzioni scientifiche e organizzazioni internazionali fra cui Fao, Unesco e Wwf), si sono impegnati a studiare a fondo le ragioni del drammatico declino dell’ecosistema lacustre del Mar Morto, e a proporre strade che favoriscano lo sviluppo sostenibile e la tutela delle biodiversità.
Per rendere ancora più vincolanti le proposte che saranno avanzate, in Israele, Giordania e Autorità Palestinese è in corso una campagna che ha come obiettivo l’iscrizione del Mar Morto tra i siti considerati dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’umanità.
Ma qual è lo stato attuale del Mare «più depresso» del mondo? E quali le soluzioni per curare questo illustre ammalato?
«In 50 anni il bacino ha perso un terzo della sua superficie e il livello dell’acqua continua ad abbassarsi rapidamente; negli ultimi due decenni è sceso di un metro all’anno», avvertono biologi, geologi e ambientalisti. L’acqua del fiume Giordano arriva ormai in quantità infinitesimale al suo naturale sbocco perchè utilizzata in agricoltura e per la produzione di energia elettrica. La linea costiera entro il 2020 scenderà drammaticamente dagli attuali meno 413 metri a meno 430. Costruzioni di argini, cisterne, canali e stazioni di pompaggio lungo il corso del Giordano hanno enormemente ridotto l’afflusso idrico nel Mar Morto. Sul fondo del mare poi sono state osservate numerose spaccature attraverso cui l’acqua si disperde nel sottosuolo. «Abbiamo scoperto 1.650 voragini, alcune profonde anche dozzine di metri – spiega Eli Raz, geofisico del Politecnico di Haifa – ma al momento le aree interessate da questo fenomeno non sono tra quelle accessibili ai turisti».
Per cercare di ovviare allo stato comatoso in cui versa il Mar Morto, nel luglio del 2005 la Banca Mondiale ha approvato la costruzione di un canale lungo 200 chilometri in grado di trasportare l’acqua necessaria dal Mar Rosso. Il progetto, a cura di studiosi israeliani, palestinesi e giordani, avrebbe dovuto essere completato nell’arco di cinque anni. Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi dello scorso gennaio Israele ha congelato l’intervento ed è in attesa degli sviluppi politici all’interno dell’Autorità nazionale palestinese.
Intanto alcuni gruppi di ecologisti contestano nel merito il progetto del canale. L’acqua del Mar Rosso infatti sconvolgerebbe il delicato equilibrio del bacino e metterebbe a rischio la sopravvivenza delle riserve naturali che lo circondano. Una delle più gravi incognite deriva dall’impatto ambientale che potrà avere la mescolanza delle acque fortemente saline e «pesanti» del Mar Morto con l’acqua di mare pompata dal Golfo di Akaba.