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Il 30 giugno l’Egitto alla resa dei conti

Carlo Giorgi
28 giugno 2013
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Il 30 giugno l’Egitto alla resa dei conti
Manifestazione di protesta contro il presidente Morsi

L’Egitto sta vivendo una settimana cruciale per il suo futuro: domenica 30 giugno, primo anniversario della vittoria presidenziale di Mohammed Morsi, si svolgeranno in molte città del Paese imponenti manifestazioni per chiederne le dimissioni. E si contano già le prime vittime tra manifestanti pro e contro il presidente


L’Egitto sta vivendo una settimana che potrebbe rivelarsi davvero cruciale per la sua storia, tra manifestazioni oceaniche e proteste violente. Domenica 30 giugno, primo anniversario della vittoria presidenziale di Mohammed Morsi, si svolgeranno in molte città del Paese imponenti manifestazioni per chiederne le dimissioni.

La mobilitazione è organizzata dagli attivisti del cosiddetto Tamarrud, un fronte di attivisti delusi dall’operato di Morsi che, due mesi fa, ha lanciato una campagna per raccogliere, entro il 30 giugno, 15 milioni di firme di cittadini favorevoli alle sue dimissioni (Morsi aveva raccolto «solo» 13,2 milioni di voti nelle presidenziali del 2012, ndr). Grazie alla mobilitazione di centinaia di volontari, l’obiettivo è stato raggiunto e superato in poche settimane. Il successo della raccolta firme è stato così eclatante che gli attivisti del Tamarrud proprio ieri hanno annunciato di essersi organizzati in un movimento politico, il neo-battezzato Fronte del 30 giugno: un coordinamento che, oltre alle dimissioni di Morsi, ha chiesto la nomina di un primo ministro indipendente, che guidi un governo tecnico della durata di sei mesi, affronti i problemi dell’economia e prepari il Paese a nuove elezioni presidenziali e parlamentari.

In queste settimane è cresciuta in modo preoccupante anche la tensione tra oppositori e sostenitori del presidente. Tanto che i primi scontri violenti di piazza si sono verificati già il 26: nella città di Mansoura, nel Delta del Nilo, secondo il quotidiano egiziano online al-Ahram, i manifestanti pro e contro il presidente si sono affrontati; negli scontri sono state usate armi da taglio, bombe molotov e fucili da caccia. La polizia ha represso i disordini con la forza. Al termine della giornata si sono contati due morti e oltre duecento feriti. Invece ieri, 27 giugno, un membro della Fratellanza musulmana è stato ucciso nel suo ufficio della città di Zakarik, nel Delta del Nilo, secondo quanto ha divulgato il sito del partito Libertà e giustizia, legato alla Fratellanza musulmana, che ha incolpato dell’episodio un gruppo di giovani contrari al presidente Morsi.

Mercoledì scorso, in vista della manifestazione del 30, il presidente ha pronunciato un lungo discorso in televisione per difendere il proprio operato a favore dei più poveri e lanciare alcune proposte di pacificazione sociale (come la creazione di un «comitato di riconciliazione nazionale», composto da rappresentanti dei partiti politici e delle istituzioni religiose, tra cui la Chiesa copta, dalle forze rivoluzionarie e dalle ong, ndr). Morsi ha anche ammesso di aver fatto molti errori nel suo primo anno di governo, mettendo in guardia però gli oppositori a non trascinare il Paese nel caos.

La tensione in Egitto potrebbe aumentare in modo preoccupante. Proprio oggi, infatti, un comitato di organizzazioni e partiti islamici, favorevoli al presidente, ha indetto diversi sit-in «no stop» in suo sostegno, che potrebbero protrarsi anche diversi giorni. Safwat Abdel Ghany, uno dei capi di Jama’a al-Islamiya, ha dichiarato che gli islamisti manifesteranno anche il 30, pur se in modo pacifico. Inoltre, è stato annunciato che, sempre in vista del 30 giugno, alcune organizzazioni islamiste stanno organizzando squadre di vigilanti. Queste squadre sarebbero composte con la finalità di proteggere strutture ed edifici statali e prevenire possibili violenze.

Un segno che la tensione è alle stelle è anche la dichiarazione del generale Abdel Fattah al-Sisi, comandante delle Forze armate egiziane: «C’è una frattura nella società – ha postato su facebook al-Sisi –, prolungarla vorrebbe dire mettere in pericolo lo Stato Egiziano. Non rimarremo in silenzio mentre il Paese scivola in uno scontro difficile da controllare».

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