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A Betlemme le suore dorotee dei Sacri Cuori dirigono un istituto per bambini sordomuti e audiolesi, opera nata per volere di Papa Paolo VI.

Il miracolo di Effatà

Pia Compagnoni
2 marzo 2007
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Il cardinale Carlo Maria Martini ha più volte invitato a contemplare Gesù nel momento in cui sta facendo uscire un uomo dalla sua incapacità di comunicare. Si tratta della guarigione del sordomuto in pieno territorio della Decapoli (Alture del Golan).

Sant’Ambrogio chiama questo episodio – e la sua ripetizione nel rito battesimale – «il mistero dell’apertura». Gesù lo porta in disparte e con simboli e segni incisivi gli indica ciò che vuol fare: gli introduce le dita nelle orecchie come per riaprire i canali della comunicazione, gli unge la lingua con la saliva per comunicargli la sua scioltezza. Gesù comincia sia nei segni come poi nel comando successivo, con il risanare l’ascolto, le orecchie. Il risanamento della lingua sarà conseguente. A questi segni Gesù aggiunge lo sguardo verso l’alto e un gemito che indica la sua sofferenza e la sua partecipazione a una così dolorosa condizione umana. Segue il comando vero e proprio: «Effatà!» cioè «Apriti!» È il comando che la liturgia ripete prima del battesimo degli adulti: il celebrante, toccando con il pollice l’orecchio destro e sinistro dei singoli eletti e la loro bocca chiusa, dice «Effatà, cioè apriti, perché tu possa professare la tua fede a lode e gloria di Dio».

Ciò che avviene a seguito del comando di Gesù è descritto come apertura («Gli si aprirono le orecchie»), come scioglimento («si sciolse il nodo della sua lingua») e come ritrovata correttezza espressiva («E parlava correttamente»). La barriera della comunicazione è caduta, la parola si espande come l’acqua che ha rotto le barriere di una diga. Lo stupore e la gioia si diffondono: tutti, pieni di stupore dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e parlare i muti» (Mc 7, 31 – 37).

Effatà è anche il nome di un luogo a Betlemme dove avvengono ancora oggi i miracoli: bimbi sordomuti (cristiani e musulmani) riacquistano la parola e imparano a parlare e a cantare. La scuola Effatà Paolo VI è frutto di una delle iniziative nate nella scia dello storico pellegrinaggio di Papa Montini in Terra Santa del 1964: in questa occasione il Pontefice aveva manifestato la priorità dell’assistenza dei più bisognosi, e specialmente dei malati, nel territorio; in questo senso avevamo già raccontato nel numero di novembre – dicembre 2006 (pp. 52-54) la storia e l’attività della scuola della Sacra Famiglia a Nazareth, opera guanelliana che agisce con i portatori di handicap mentale.

L’istituto Effatà Paolo VI è stato inaugurato il 30 giugno 1971 e le lezioni sono cominciate il 4 settembre con 21 bambini arabi palestinesi (12 bambine e 9 maschietti). Ogni anno il numero degli allievi è cresciuto e nuove classi sono state aggiunte. Fino al 1971 non si era mai fatto nulla per i sordomuti. A Effatà si inizia con l’insegnare a respirare in modo corretto e non solo per istinto di sopravvivenza, per esempio soffiando su candeline accese o su palline sopra uno scacchiere. Poi si passa alle prime lezioni sui «suoni»: toccando le labbra, le guance e il torace si mostra ai bimbi tutta la gamma delle vibrazioni sonore per arrivare a sillabare e poi a ripetere le prime parole. La finalità principale della scuola è la riabilitazione che mira allo sviluppo integrale e armonico dell’alunno con il superamento dell’handicap attraverso l’esercizio dell’ascolto e della comunicazione orale.

Nell’anno scolastico 2005-2006 125 allievi sordi da uno e sedici anni frequentavano la scuola dal lunedì al venerdì tornando a casa ogni sera, eccezion fatta per venti bambine, che abitando a oltre cinquanta chilometri di distanza dall’istituto rientravano in famiglia solo il fine settimana. Il corso della rieducazione audiofonetica e scolastica è suddiviso in quattro cicli: il primo è costituito dalla rieducazione precoce che riguarda pazienti da uno a tre anni; in questa fase del percorso i bambini frequentano l’ambulatorio tre volte alla settimana. Gli altri tre cicli coincidono con quelli ordinari della scuola dell’obbligo: scuola materna (ad oggi frequentata da 43 alunni), scuola elementare (dalla prima alla sesta classe, con 50 alunni) e scuola secondaria (dalla settima alla decima classe), aperta per ultima, nel 2003, di cui attualmente usufruiscono 15 ragazzi. In tutte le tappe l’alunno è sottoposto a terapia logopedica individuale e di gruppo. Ognuno è dotato di protesi acustiche che, con la dovuta rieducazione, aiutano a percepire suoni e rumori.

Lo staff è composto da religiose e laici. Le suore di santa Dorotea dei Sacri Cuori – più conosciute come Dorotee di santa Bertilla –  fondate da0l vescovo vicentino mons. Antonio Farina nel XIX secolo, applicano le loro capacità di logopediste per plasmare i bimbi sordi, stimolando in loro ogni articolazione della bocca e ogni minima manifestazione del suono. Già diverse giovani arabe palestinesi e giordane sono entrate a far parte di questa famiglia religiosa così sensibile, fin dagli inizi, al recupero dei sordomuti.

Sono in tutto 25 insegnanti, educatrici, logopediste, più quattro educatrici part-time, un’assistente sociale, una coordinatrice pedagogica e la direttrice. Tutti insieme – suore e personale laico- fanno prendere coscienza all’alunno della sua capacità di produrre parole, di comprenderle e di comunicarle. La via per realizzare questo insegnamento è lunga, graduale, sistematica e richiede costante integrazione tra insegnanti e allievi. Dalle parole-chiave di una piccola conversazione, i sordi progrediscono pian piano, fino allo sviluppo di concetti-base per formulare frasi semplici ed in seguito anche discorsi più complessi, inizialmente in arabo, ma anche in inglese nelle elementari avanzate e nelle secondarie.

Molte ragazze al termine delle elementari, hanno frequentato per tre anni a Effatà il corso di cucito, ricamo e maglieria fino a ottenere il regolare diploma e sono state assunte da laboratori israeliani. Fin dal 1971, guidando i pellegrini, ho avuto modo di visitare molte volte l’istituto Effatà. Ma ogni volta che ci ritorno è una festa. I bimbi ti trascinano nelle aule tappezzate da cartelli con figure di oggetti e di animali e cominciano a pronunciare i nomi delle cose imparate. Ti guardano negli occhi e sulle labbra per capire le risposte. Si dialoga davvero. Come si capisce il senso di quella parola pronunciata da Gesù duemila anni fa nella Decapoli: «Effatà!». Poi improvvisano una festa con tamburi, pifferi, coretti e danze, seguendo perfettamente una musica più intuita dentro che non sentita con le proprie orecchie.

Se torniamo nuovamente alla pagina del sordomuto della Decapoli, vediamo che Gesù  l’ha rilanciato nel vortice gioioso di una comunicazione autentica. Così sta facendo Effatà con i sordomuti. Ecco perché in questa scuola voluta da Paolo VI è sempre Natale.

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