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Pietre d’inciampo

20/11/2009  |  Milano
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Pietre d’inciampo
Alcuni edifici dell'insediamento di Gilo.

Basterebbe prendere in mano una cartina per capire come mai si stia discutendo tanto in queste ore del progetto di costruire 900 nuove case a Gilo. Chiunque sia stato in pellegrinaggio in Terra Santa ci è passato, perché Gilo è la zona dove si trova il check-point tra Gerusalemme e Betlemme. Quello che si vuol far passare come un semplice sviluppo urbanistico («a Gilo c'è domanda di case...») in realtà è un fatto destinato a incidere sugli assetti futuri.


Siamo alle solite: uno dei problemi più grossi per la pace in Medio Oriente è la scarsa conoscenza della geografia di Gerusalemme. Basterebbe prendere in mano una cartina per capire come mai si stia discutendo tanto in queste ore del progetto di costruire 900 nuove case a Gilo. Proviamo allora a buttare lì qualche coordinata.

Intanto dov’è Gilo? Chiunque sia stato in pellegrinaggio in Terra Santa ci è passato, perché Gilo è la zona dove si trova il check-point tra Gerusalemme e Betlemme. È uno dei posti più fotografati della Terra Santa di oggi, dal momento che qui, in pullman, si passa proprio dentro al famoso muro di separazione tra Israele e i Territori. Arrivando al check-point da Gerusalemme, Gilo è la collina con tante case che si vede sulla destra. Non è dunque un posto qualsiasi quello dove si vorrebbero costruire 900 nuove abitazioni, ma uno dei luoghi simbolo oggi del conflitto. Ho cercato su Internet una cartina per spiegare meglio e la migliore che ho trovato è quella sul sito del Poica, un centro studi palestinese che effettua un monitoraggio sull’espansione degli insediamenti. L’articolo e le foto su Gilo sono un po’ vecchi, risalgono al 2004: questo quartiere nel frattempo è già cresciuto molto. Ma ciò che mi interessa è mostrare la sua posizione strategica rispetto agli assetti futuri di Gerusalemme.

Il progetto appena approvato prevede infatti un’ulteriore crescita verso ovest, dalla parte cioè dove si trova il villaggio arabo di Al-Wallaja (sul versante opposto della collina guardando dal check-point). Ma questa espansione avrebbe un effetto molto evidente: più Gilo cresce verso Ovest e più le città palestinesi di Betlemme e di Beit Jalla restano separate rispetto a Gerusalemme. Quello che si vuol far passare come un semplice sviluppo urbanistico («a Gilo c’è domanda di case…») in realtà è un fatto destinato a incidere sugli assetti futuri. E dice tutta la malafede di chi – come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – a parole dichiara di voler trattare sui due Stati e poi nei fatti dà il via libera a nuove costruzioni a Gilo.

Questa è la situazione di oggi. E si capisce l’irritazione di Washington. Che già prima di questa decisione doveva rimettere insieme i cocci. E adesso si ritrova anche con uno schiaffo che Netanyahu le ha assestato attraverso la commissione edilizia della municipalità di Gerusalemme. L’amministrazione Obama avrà anche mille difetti (è inesperta, ha dimostrato una posizione ondivaga…) ma una cosa la sa fare: guardare una cartina di Gerusalemme. E allora si capisce la reazione particolarmente dura a questo processo. Obama ha detto parole pesanti: «questo progetto mette a rischio la sicurezza di Israele».

Sono anni che seguo il Medio Oriente, di schermaglie del genere ne ho viste tante. Ma davvero una situazione simile è qualcosa di inedito. Il processo di pace – così come l’abbiamo conosciuto finora – ormai è finito. E infatti i palestinesi stanno puntando su una dichiarazione di indipendenza unilaterale da portare al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Dove non è affatto detto che passi, ma sarà comunque un fatto politico rilevante. E intanto si respira un clima da vigilia pericolosa: ieri dal carcere israeliano dove è detenuto ha parlato Marwan Barghouti; i suoi avvocati hanno consegnato all’agenzia Reuters delle risposte scritte ad alcune domande. Il leader più popolare nei Territori dice: «Non ho mai creduto nel negoziato come unica strada. Ho sempre perseguito un mix tra diplomazia e resistenza, politica e mobilitazione popolare». Un messaggio che non fa presagire niente di buono.

La situazione è in movimento, ma non è affatto detto che tutto questo giochi a favore di Israele. L’aver umiliato Obama alla fine potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Non è un caso che a sostenerlo siano due articoli usciti in queste ore su giornali israeliani. Su Yediot Ahronot Moshe Elad scrive che oggi «l’America parla arabo». Un articolo molto interessante il suo, perché spiega ai suoi concittadini come la Gerusalemme «indivisibile» sia un’illusione che solo loro continuano a cullare.

Ancora più in là si spinge Akiva Eldar su Haaretz sostenendo che l’affare Gilo potrebbe spingere Obama nelle braccia di Abu Mazen. Eldar parla di un’ipotesi che circola a Washington: una lettera in cui l’amministrazione americana metterebbe nero su bianco l’idea che Gerusalemme è divisa in due parti, disconoscendo così ufficialmente l’annessione decretata da Israele. Sarebbe l’ultima carta per riportare i palestinesi al negoziato. E rappresenterebbe una sconfitta molto pesante per Netanyahu. Oltre che un punto di riferimento imprescindibile per qualsiasi futura soluzione del conflitto.

Clicca qui per vedere la cartina e l’articolo del Poica
Clicca qui per leggere su Maan le dichiarazioni di Barghouti
Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot
Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz

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