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Fuggire da Gaza con le raccolte fondi dal basso

Cécile Lemoine
6 maggio 2024
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Fuggire da Gaza con le raccolte fondi dal basso
Palestinesi con passaporti stranieri lasciano la Striscia di Gaza dal valico di Rafah con l'Egitto il 6 febbraio 2024. (foto Abed Rahim Khatib/Flash90)

A Gaza, le campagne di crowdfunding sono diventate l’unica speranza dei residenti per lasciare la Striscia. Si sono moltiplicate negli ultimi mesi, per racimolare le somme necessarie a finanziare il costosissimo passaggio verso l'Egitto. Non senza insidie.


«Aiutate Raimaa e la sua famiglia a lasciare Gaza». È un appello tra i tanti che compaiono sulla piattaforma GoFundMe, una delle maggiori società di crowdfunding: se si inserisce come chiave di ricerca la parola “Gaza” i risultati sono 500 e oltre dice il sistema.

Il fenomeno è esploso negli ultimi mesi: sarebbero una decina di migliaia le campagne di raccolta fondi attualmente attive in favore di Gaza, secondo i dati comunicati da GoFundMe. Parliamo di «oltre 100 milioni di dollari di trasferimenti».

Ogni campagna è una storia straziante: una famiglia da evacuare; i propri cari a cui riunirsi; un futuro migliore da costruire. Altrove. Lasciare Gaza è il sogno di molti residenti dell’enclave sottoposta a bombardamenti, distruzione e fame da sette mesi. «Gaza non è più un posto dove puoi sentirti a casa», scrive Raimaa Qishta, 23 anni. «È una zona di guerra dove la morte è in agguato a ogni angolo, dove i sogni vengono infranti e il futuro rubato».

Da febbraio questa giovane francofona cerca di raccogliere il denaro necessario per evacuare la sua famiglia in Egitto. Nelle settimane successive al 7 ottobre, il Cairo ha limitato l’ingresso nel suo territorio agli abitanti di Gaza con doppia nazionalità. Partire ora è teoricamente possibile a tutti, ma ottenere la possibilità di varcare la frontiera costa caro.

Raccogliere i fondi non è facile

«Ho bisogno di 30mila dollari», sospira la giovane che ha perso il padre e la sorella sotto i bombardamenti della sua casa a Rafah il 9 ottobre scorso, e che sta cercando di evacuare il resto della famiglia: «Servono 5.000 dollari per un adulto e 3.500 dollari per un bambino», spiega Raimaa. Importi fissati dall’agenzia egiziana Hala, che dal 2019 coordina gli attraversamenti della frontiera di concerto con le autorità israeliane ed egiziane. Prima della guerra attraversare il confine costava circa 300 dollari.

Queste somme, enormi per una popolazione che ha speso tutti i suoi risparmi a causa del quintuplicarsi del costo della vita a Gaza, sono impossibili da raccogliere con le proprie forze. Così, a metà febbraio, Raimaa ha aperto un conto PayPal e lanciato appelli alla solidarietà internazionale, inviando messaggi a tutti i suoi amici di Facebook, e agli amici degli amici, pubblicando video su TikTok. Tre settimane dopo, PayPal ha chiuso il suo conto e rimborsato i donatori, a causa di «attività non conformi» alle condizioni di utilizzo, secondo il messaggio ricevuto da Raimaa. «Da un giorno all’altro ho perso tutto quello che ero riuscita a raccogliere», lamenta la giovane donna.

Un lavoro a tempo pieno

Qualcosa di analogo è accaduto ad Ahmed Al Boji, studente di ingegneria di 24 anni, la cui raccolta fondi su GoFundMe è stata chiusa a gennaio. «La piattaforma funziona solo in alcuni Paesi e ai palestinesi non è consentito raccogliere fondi», spiega Michael Fantasia, l’americano che da allora gestisce la nuova campagna di Ahmed da Boston: «Mi ha contattato tramite Instagram perché aveva bisogno di un intermediario».

Allarmata per i rischi di «finanziamento del terrorismo», GoFundMe richiede informazioni dettagliate sui beneficiari e aumenta i controlli di sicurezza al momento dei trasferimenti, congelando temporaneamente le campagne: «Questo processo di verifica garantisce che gli incassi siano conformi alle leggi internazionali e ai regolamenti globali», spiega l’Ufficio per la comunicazione.

Il successo di alcune campagne, che sono riuscite a raccogliere decine di migliaia di dollari in pochi giorni, ormai è noto. Ora è necessario distinguersi nella marea di pagine che chiedono donazioni. «È un lavoro a tempo pieno, riconosce Michael Fantasia, la cui campagna ha avuto un successo inaspettato: nell’arco di tre mesi sono stati raccolti 93mila dollari su un obiettivo di 100mila.

«Ahmed ha trascorso ore sulla piattaforma, cercando di capire, di analizzare cosa facesse funzionare le campagne al meglio. Ha individuato i maggiori donatori e ha indirizzato loro messaggi privati. Aveva tre settimane di vantaggio rispetto agli altri e questo ci ha permesso di progredire rapidamente», afferma Michael Fantasia, prima di aggiungere: «Oggi la mia casella di posta è piena di messaggi del genere».

Ahmed è riuscito a pagare i biglietti di uscita della sua famiglia e ora sta aspettando che i loro nomi appaiano nell’elenco delle persone autorizzate a entrare in Egitto. La procedura può richiedere fino a un mese. Dopo l’Egitto, Ahmed punta al Qatar, dove spera di terminare gli studi e garantire una vita migliore alla sua famiglia.

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