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Anche il terrorismo separatista minaccia l’Iran

Elisa Pinna
18 aprile 2024
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Il regime di Teheran non deve guardarsi solo da Israele, che considera il proprio nemico giurato, ma anche dal terrorismo interno. Istanze separatiste e dell'estremismo sunnita si saldano insieme. Le cronache recenti hanno registrato attacchi plurimi e sanguinari.


L’Iran considera un successo politico e strategico-militare la sua rappresaglia della notte tra il 6 e il 7 aprile contro lo Stato di Israele, che, in un’escalation della tensione, aveva attaccato, il primo aprile, l’ambasciata della Repubblica islamica a Damasco, uccidendo diversi alti ufficiali iraniani, a cominciare dal generale Mohammad Reza Zahedi. Dietro gli annunci e le minacce spavalde di Teheran, si percepisce tuttavia un’attesa carica di ansia e nervosismo per la prossima mossa del governo di Benjamin Netanyahu e per lo spetto di una guerra regionale in cui la dirigenza iraniana non vorrebbe invischiarsi. Tutto ciò ha messo nell’ombra un’altra minaccia che spaventa i vertici islamici sciiti: il crescente terrorismo separatista interno, che spesso si salda con la recrudescenza delle azioni del cosiddetto Isis Khorasan e che si intreccia – a detta dei mass media locali – con tentativi di destabilizzazione guidati da una «regia esterna».

Agli inizi di aprile, solo tre giorni dopo il bombardamento israeliano sulla sede diplomatica iraniana in Siria, una milizia armata di separatisti baluci sunniti ha dato l’assalto, e cercato di conquistare in pieno giorno, il quartier generale dei Pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione islamica) a Rask e la base militare e delle operazioni navali del porto strategico di Chabahar, entrambe città del Balucistan-Sistan, nel sud-est dell’Iran. Alle dieci in punto del 4 aprile, cogliendo di sorpresa l’intelligence iraniana oltre che la popolazione locale, un centinaio di miliziani del gruppo Jaish Al Adl, formazione considerata terrorista sia da Teheran sia dagli Stati Uniti, ha dato inizio alla battaglia, rivendicandola poi ufficialmente. Per le strade di Rask e Chabahar sono cominciate sparatorie, lanci di granate, razzi e bombe. I militanti baluci hanno tentato di espugnare le basi militari ma sono anche entrati nelle case di gente comune e hanno preso in ostaggio numerosi civili da usare come scudi umani. I combattimenti sono durati quasi 17 ore, fino alle 3 del mattino del 5 aprile, seguiti in diretta dalla televisione statale iraniana, che si è rivelata il principale strumento attraverso cui gli abitanti di Rask e Chabahar, hanno potuto rendersi conto di ciò che stava succedendo fuori dalle loro porte di casa. Sia l’emittente televisiva, sia i social hanno riportato scene piuttosto crude: i soffitti e le pareti della sede dei Guardiani della rivoluzione a Chabahar crivellati dai colpi d’arma da fuoco con schizzi di sangue ovunque, i cadaveri per strada di militari e secessionisti, volute di fumo nero sopra le due città messe a ferro e fuoco. Molti miliziani baluci indossavano cinture esplosive e si sono fatti saltare in aria, ha riferito l’emittente nazionale.

Durante la diretta televisiva, il viceministro dell’Interno Majd Mirahmadi è intervenuto più volte senza minimizzare i fatti. Solo alle tre del mattino del giorno successivo ha potuto annunciare che gli obiettivi dei terroristi erano falliti e che la situazione era tornata sotto controllo grazie agli «eroi» e ai «martiri» dei corpi militari e paramilitari iraniani. Le fonti ufficiali di Teheran hanno riferito che i morti di Rask e Chabahar sono stati 35 e i feriti una settantina, cifre – secondo alcuni osservatori – poco congrue con la ferocia e la lunghezza dei combattimenti.

Nel giorno del duplice attacco, molti commentatori, nella maratona televisiva, hanno esplicitamente evocato un collegamento tra servizi segreti israeliani (a loro dire «ispiratori e finanziatori») e i secessionisti baluci (considerati la manovalanza).

In realtà la regione del Balucistan-Sistan rappresenta da decenni un’area inquieta e ribelle al potere centrale di Teheran, anche perché abitata da una maggioranza di popolazione sunnita. Inoltre, il porto di Chabahar, l’unico del Paese ad affacciarsi sull’Oceano Indiano, sta acquisendo una crescente importanza strategica, per i traffici tra l’India e i mercati dell’Asia centrale e persino come sbocco sul mare dei talebani afghani, che hanno investito, lo scorso febbraio, 35 milioni di dollari per ingrandire le strutture del porto, con l’obiettivo di svincolarsi dal Pakistan. Chabahar, d’altra parte, con le esigenze di sicurezza che il corridoio commerciale impone, suscita opposizione da parte delle tribù locali, che finora hanno dominato le zone del Balucistan-Sistan, a ridosso del confine con l’Afghanistan e il Pakistan. In quella terra di nessuno si sono sempre mossi con disinvoltura trafficanti di tutti i tipi, signori della droga e gruppi armati separatisti come Jaish Al Adl. In quell’area hanno trovato rifugio, dopo le sconfitte militari, i miliziani dell’Isis-K, organizzazione nata nel 2014 con l’obiettivo di creare nella regione nord-orientale del Khorasan, estesa tra Iran, Afghanistan e altri paesi centro-asiatici, un califfato islamico. Nel Baluchistan-Sistan, più a sud, adesso si starebbero riorganizzando e rafforzando, secondo diversi servizi di sicurezza.

Dallo scorso anno l’Isis-K ha preso di mira l’Iran con attentati feroci: da quelli di Shiraz del 2023 all’ultima strage terroristica, con oltre cento morti, del 3 gennaio 2024 a Kerman, durante una cerimonia di massa indetta per commemorare il generale Qassim Soleimani, ucciso da un drone statunitense in Iraq quattro anni prima. Approfittando della guerra di Gaza, le azioni anti-Teheran dell’Isis e dei gruppi separatisti sunniti si sono alzate di livello. Scontri, arresti, attentati sventati fanno ormai parte della cronaca settimanale iraniana.

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